Capitoli 12-21

12.

Avrebbe voluto volare via a volte.
Avrebbe cercato un pianeta su cui atterrare.
Avrebbe voluto farsi una vita in un mondo parallelo.
Anomala la cosa, per un carabiniere, insolita, e non confessabile.
Si sa, uomini d’ordine, militari, al servizio da sempre dello Stato, i carabinieri hanno non solo la loro professionalità nella lotta al crimine, ma anche un’immagine da difendere e da conservare, parte integrante del loro lavoro di tutti i giorni. Soprattutto nelle piccole comunità.
Quindi non si sorride, si è professionali e distaccati, e non si concede mai confidenza.
Almeno durante le ore di servizio. Avete mai visto un carabiniere che vi ferma a un posto di blocco per un controllo che vi approccia con sorriso e cordialità?
E allora…
Ma Pandolfi, questa cosa, la digeriva a fatica.
Anomala la cosa, sembrava, ma anomalo era lui, questa è la verità.
Scelta sbagliata? Fatta per convenienza o per ‘obbligo’, visto che lavorare bisogna lavorare?
Per un cavolo! La sua era stata una scelta ponderata, pensata, convinta. La missione, il fuoco dentro di voler essere utile agli altri, il senso dello Stato, la voglia di lasciare il segno.
Ma senza perdere la tenerezza, come direbbe qualcuno di ben più importante. E senza perdere un po’ di ironia, un po’ di dolcezza, un po’ di sorriso e un po’ di disponibilità verso gli altri.
Una vera stranezza nell’immagine del carabiniere doc.
Un’anomalia che lo rendeva ogni giorno più malinconico da una parte, ma molto felice della propria diversità dall’altra.
Alla faccia di tutte le retoriche militariste.

13.

- Andiamo a vedere i lavori? buttò lì Giulia. C’è un viavai di camion, ruspe, squadre di operai...e voglio vedere come viene la piscina!
Mattia la guardava torvo, aveva ben altro in mente.
Dalla sera prima era con la testa alla pineta, a un sentiero irto e poco battuto, alla ricerca di tracce di cervi che nei giorni scorsi sembravano avessero fatto capolino a bassa quota, forse alla ricerca di cibo. Strano per quella stagione...
Da tempo la caccia ai cervi era fortemente regolamentata e le mandrie dei quadrupedi si erano rimpinguate anche troppo, con a cascata danni alle coltivazioni, incidenti stradali causati da improvvise comparsate sulle strade provinciali, incontri sui sentieri e chissà che altro.
Il consiglio comunale si era più volte fatto promotore di allarmi presso la Provincia e la Regione, supportato dalla Guardia Forestale, per concordare una linea di condotta e chiedere di allargare le giornate di caccia a scopo di contenimento.
Con relativo ‘apriti cielo’ da parte delle associazioni ambientaliste e animaliste che vedevano come fumo negli occhi ogni tentativo di ampliamento dell’attività venatoria.
Quindi, per ora, tutto fermo, in attesa di chissà quale decisione.
- Vieni con me, dai, disse Giulia, prendendo Mattia per mano e trascinandolo su per il sentiero. Andiamo a vedere!!
E lui dietro a correre, pancia a terra.
Faceva fatica a starle dietro, soprattutto in salita.
Raggiunsero la strada, l’ultimo tratto che li separava dal cancello un po’ demodé che sanciva il confine della proprietà dell’antico albergo di lusso.
Il traffico era pressoché inesistente aldilà dei mezzi di lavoro che arrivavano al cantiere.
La coppia di ragazzi, arrivata al cancello - sempre aperto per consentire il facile accesso ai mezzi di lavoro - si infilò di soppiatto nel grande parco che circondava l’edificio.
Pini e abeti secolari creavano un ambiente da sogno, tra prati verdi, uccelli in amore e - quando si era fortunati - scoiattoli impertinenti che si rincorrevano sulle staccionate che delimitavano la strada.

Era un posto bellissimo, soprattutto in quella stagione, dopo i mesi di vacanza affollati. L’estate piovosa aveva mantenuto tutto rigoglioso e verde intenso, anche se le prime tracce di autunno cominciavano a farsi largo.
Aggirarono l’edificio, nascosti come guerriglieri tra gli alberi e strisciando tra una siepe e l’altra. Avanzarono raggiungendo finalmente l’entrata sul retro, dove stava nascendo il centro termale.
Non c’era nessuno all’esterno, solo giganteschi mezzi di lavoro che sembravano in quel momento riposare al sole.
Il rumore veniva dall’interno, tra colpi, motori di macchine a pieni giri, calcinacci che cascavano rumorosamente in qualche contenitore e urla e madonne tirate da qualche operaio in difficoltà.
- Andiamo via..., che ci facciamo qui? mormorò Mattia, impaurito dai numerosi cartelli che intimavano di allontanarsi a chi non era del mestiere.
- Ufff…, andiamo a vedere dentro. E naturalmente entrarono.

14.

Il maresciallo Pandolfi, quel giorno, uscì dalla stazione dei Carabinieri per raggiungere casa. Il pranzo era sacro, l’amaro idem e la pennica obbligatoria.
Il ritmo pacifico del paese, la tranquillità dei monti, la sostanziale onestà degli abitanti, rendevano il lavoro del comandante poco di azione e più che altro di prevenzione. Fondamentale.
Il ruolo del maresciallo - soprattutto nelle potenziali dispute tra compaesani - era formidabile perché riusciva a evitare che situazioni spinose e rapporti delicati finissero a legnate in faccia oppure con improvvisi scivoloni vicino a dirupi di centinaia di metri di altezza.
- Qui non c’è la mafia. Qui non c’è la criminalità organizzata. Qui non ci sono rapine alla banca del paese e i furti negli appartamenti si contano sulle dita d'una mano e sono sempre opera dei soliti noti. E droga poca, amava ripetere. Al limite qualche bicchiere di troppo nel weekend...
Per poi continuare.
- La nostra azione, aldilà di intervenire in qualche litigio familiare o disputa finanziaria, è quello di passeggiare e ascoltare, accompagnare e parlare, per capire se quella o quell’altra situazione possano esplodere e diventare pericolose.

- Ah, bella la vita allora, commentava qualcuno alla prima occasione..
- Non mi fraintendete. Il presidio esiste ed è operativo, 24 ore su 24. E quando qualche testa calda ha fatto volare una roncolata in testa a qualcun altro, le indagini hanno avuto successo proprio perché meticolose e svolte in modo professionale, con profondità e dedizione. E rapidità. E poi, non dimentichiamoci che il paese è località turistica, e in certi periodi dell'anno arriva di tutto, dalle città e anche da paesi stranieri.
E concludeva:
- Dobbiamo diventare parte della comunità, non rimanere isolati nella nostra caserma. Solo così possiamo comprendere, prevenire e quando serve, intervenire con decisione.
Mica male, eh? Alzi la mano chi ha mai incontrato un maresciallo dei Carabinieri così sottile e acuto, così filosofo e nello stesso tempo così tempestivo.

Pandolfi entrò in casa, per compiere i consueti gesti quotidiani. Il cappello sull’attaccapanni, la giacca a fianco, un bacio alla moglie, le gambe sotto il tavolo scambiando qualche parola e contemporaneamente versando del rosso che aveva la funzione iniziatica di aprire la mente e anche lo stomaco.
Ma quel giorno mancava qualcosa. Il bacio, la carezza, la gioia di vedere sua figlia.
- Giulia? domandò guardandosi in giro con aria preoccupata.
- Non è ancora tornata. È in giro con il suo fido ‘assistente’. La mattina libera da scuola deve aver solleticato ogni tipo di curiosità. Arriverà.
Non gli piaceva. Non era abituato. La cosa lo agitò immediatamente, lasciando trasparire un primordiale senso d’ansia.
- E dov’è? riprovò a domandare.
- Non ne ho idea, credimi. Sarà qui in giro, rispose sua moglie, in totale serenità.
E lui andava in bestia.
Da buon padre di femmina, e da carabiniere, aveva un forte senso della protezione del suo gioiello ereditario. A volte un po’ invadente, a volte benevolmente autoritario, ma in genere - vista anche la differenza d’età - si ‘comportava’ bene, lasciando tutti gli spazi immaginabili a Giulia, e subendo in silenzio molte cose che riteneva inconcepibili.
Grazie anche alla mediazione saggia e femminile della madre.
Ma quel giorno gli girava male.
- Senti Elena, ma come fai? chiese alzando il tono quel tanto che basta per attirare l’attenzione della moglie indaffarata intorno ai fornelli.
- A far cosa, Marco, a fare cosa…, replicò Elena, facendo finta di non capire, con una punta di irritazione.
- ...a essere così serena. Nostra figlia è in giro, non arriva, è in ritardo e tu che fai? Continui a cucinare, come se nulla fosse. Ormai è un’adolescente, bellissima tra l’altro. Io li vedo i ragazzi del paese, che se la mangiano con gli occhi…
Elena lo fissò. Alzò un sopracciglio, con fare altezzoso e partì con la sua arringa di difesa.
- Insomma, qui si sfornano i migliori pizzoccheri della valle, operazione complessa, soprattutto nella fase finale di condimento. Formaggio a pezzetti, burro fuso e salvia, grana, patate e verze, pepe..., mica paglia. I pizzoccheri meritano tutta l’attenzione, oltre che il rispetto, prima, mentre si cucinano, poi quando si mangiano. Cucinare e mangiare sono un’arte, non un passatempo. E tu stai a questionare...
E lo guardava con quel suo sorriso ironico e amorevole, con il quale aveva saputo, sempre a fianco del suo uomo, affrontare ogni difficoltà, ogni traversia della vita, ogni decisione, ogni difficoltà.
Lui era estasiato da quel sorriso. Sempre. Abbozzò, almeno per il momento. E si sciolse.
E come un disperato alla mensa dei poveri, allungò il piatto verso la zuppiera fumante per perdersi nei meandri del gusto della pietanza dal sapore antico.

15.

Giulia, nel frattempo, entrò nel cantiere.
Mattia era sempre più impaurito, ma la seguì, come sempre. I rumori cessarono di colpo, come qualcuno avesse dato un comando di stop ai lavori.
Che succedeva? Si erano accorti di loro? Arrivavano i guai?
In lontananza il campanile che dominava la valle cominciò a battere le ore e sembrava non smettere più. Ci credo, era mezzogiorno. E mezza anche.
I manovali, gli operai, i tecnici, gli idraulici, i progettisti, i capocantiere, dio e tutti i santi, a quell’ora, crollasse il mondo - a queste latitudini - si alzavano e si attrezzavano per il pranzo.
Avevano allestito uno spazio con tavolaccio e sedie di fortuna nel parco condominiale, creando un angolo idilliaco dove scartare involucri con panini sontuosi, appoggiare schiscette con pasta o riso, piatti di carne e salumi di tutti i tipi, tutto annaffiato da prima dal vino poi da forti caffè in thermos stile anni ‘60. Per rilassarsi un po’ e per recuperare le forze. Perché quello era un lavoro vero.
Con l’arrivo della cattiva stagione si sarebbero arrangiati con una soluzione al caldo e al riparo. Sperando di finire in fretta.
Giulia e Mattia capirono allora cosa stava succedendo e si nascosero velocemente in un rientro del muro, poco prima che tutto il gruppo del cantiere sfilasse davanti a loro, trascinando grosse scarpe in mezzo a pietre, sollevando terra e polvere e liberando nell’aria commenti in dialetto stretto.
Tutti fuori.
Il silenzio riacciuffò gli spazi e la polvere sollevata dalle decine di scarpe si depositò.
Dentro era scuro, ma gli occhi dei ragazzi si stavano gradatamente abituando alla penombra.
- Ussignur Giulia, andiamo via. Se ci scoprono sono guai, con loro e poi con i nostri. Mio padre mi toglie la pelle di dosso, stanne certa, mormorò Mattia, attento a non farsi sentire dagli operai, ancora troppo vicini.
- Ma che fifone che sei! Guardiamo un po’ e poi ce ne andiamo, mica dobbiamo piantarci le tende in questo posto. Ormai siamo qui…, commentò Giulia, con gli occhi che le brillavano, tanta era la curiosità.
- Ma tuo padre non mangia alle 12,30? Se non ti trova a casa manderà tutti i carabinieri della valle a cercarti. E poi ci arresteranno, replicò Mattia sempre più ansimante.
Il ragazzo era sveglio, ma Giulia aveva una marcia in più, soprattutto in direzione dei guai.
Non fece un plissé, avanzò verso il grande spazio che avrebbe ospitato la piscina, strizzando gli occhi e allungando il collo.
Era enorme.
Da quell’entrata, per ora minuscola e impervia, si accedeva quasi immediatamente a un ambiente gigantesco, che non ti aspettavi, che sembrava allargarsi all’infinito, grazie alla penombra che lasciava spazio al buio, man mano che ci si addentrava.
Era tutto uno sfasciume, un caos incredibile. Pietre, cumuli di terra, attrezzi dappertutto, macchinari sparsi che dormivano, le provvisorie luci alle pareti spente. Era difficile immaginare che lì sotto, un giorno, sarebbe nata una dependance delle terme di Caracalla.
Ideale per sbirciare, esplorare, pensò Giulia.
E si infilò in un corridoio laterale con gli occhi impegnati in una circolare scansione dell’ambiente.
E fu lì, tra le macerie, che vide una cosa colorata, piccola.
Fu lì che trovò una cartolina.
Che prontamente si infilò in tasca, furtivamente, senza neanche guardarla.

16.

Il Berardi aveva molto a cuore il ‘progetto piscina’.Non solo per le eventuali ricadute positive di natura commerciale e per il guadagno tangibile, visti i preventivi, ma anche perché gli permetteva di frequentare la Valmalenco con assiduità e costanza.
Fidanzato/convivente, sposato, separato, divorziato e risposato con una donna poco dopo caduta in disgrazia e ormai al limite della vita su un letto d’ospedale, aveva deciso di abbassare tutte le guardie e rinunciare ai propri principi quando, arrivato in valle per i primi sopralluoghi al residence, aveva perso testa, cuore e controllo di una parte centrale del corpo per la signora Silvana, vedova con figlio adolescente, proprietaria e gestrice dell’albergo ‘Il Paradiso’.
Una donna infelice, prima del loro incontro, che aveva ritrovato serenità e un po’ di passione dopo un periodo difficilissimo a seguito della morte del suo ‘caro’ consorte.
Che tra l’altro era un benemerito animale, visto che amava di più il rosso dei vini locali rispetto al rosso fuoco dell’amore verso la moglie e il figlio. Il tutto condito con l’uso inappropriato di mani e piedi, distribuito in modo equivalente in famiglia, a seconda dei giorni della settimana.
Un disastro di matrimonio, tenuto in piedi solo dalla perseveranza e dall’ostinazione della signora Silvana che, oltre a restituire qualche colpo secco ogni tanto, aveva solo a cuore la protezione e la crescita dell’erede.
La prematura dipartita del campione di boxe senza spirito olimpico aveva in un battibaleno risolto la contesa e spazzato ogni tensione.
Ma erano iniziati i problemi economici - debiti accumulati - e quelli di gestione dell’albergo, che erano tutti ricaduti sulle spalle della neo vedova e del suo portafoglio, per altro sguarnito. E poi il figlio adolescente che dava segni di irrequietezza e di normale ribellione giovanile.
Difficile, maledettamente difficile.
Fino a quando il Berardi, dovendo seguire le fasi progettuali e di approvazione amministrativa della piscina, aveva dovuto trovarsi un posto dove dormire per qualche giorno consecutivo. La vecchia madre, che viveva ancora in paese, non aveva spazio per ospitarlo.
La scelta era caduta sull’hotel Paradiso, comodo, pulito e dall’accoglienza famosa in tutta la valle. La cucina era purtroppo chiusa, causa rinnovamento e riallineamento alle nuove norme.
Oltre a lui, due soli ospiti. Un commesso viaggiatore alla ricerca disperata di nuovi clienti per la società di prodotti di largo consumo da poco arrivati sul mercato italiano, e un professore universitario romano alle prese con l’architettura montana lombarda, oggetto di una ricerca propedeutica alla redazione del suo prossimo libro.
E in questo scenario idilliaco, una sera in cui non aveva voglia di andare a rimpinzarsi di pizzoccheri e sciatt in qualche ristorante, aveva chiesto alla gestrice dell’albergo se era possibile avere almeno un paio di toast perché ‘stasera vorrei stare leggero e non ho proprio voglia di uscire’.

La serata aveva preso una piega strana.
Lei che prepara i toast dietro al bancone del bar sguarnito, lui seduto a un tavolino in attesa e alle prese con un innocente Crodino, lei che si avvicina al tavolo con un piatto con quattro toast, lui che la interroga con lo sguardo senza capire quell’improvviso raddoppiare del cibo, lei che si siede al tavolo con lui e comincia ad addentare uno dei toast, lui che la guarda e sorride.
E la serata si era arrampicata in un reciproco e lento conoscersi, in un raccontarsi nel bene e nel male.
E a un certo punto lei aveva allungato la mano sul tavolo per raggiungere la sua, fissandolo negli occhi e, senza battere un ciglio, aveva mormorato:
- Vuoi salire da me?
Così, senza preavviso.
Lui era sbiancato, arrossito, aveva sbarrato gli occhi alla ricerca di una via d’uscita.
Ma era solo imbarazzo, non rifiuto. Anzi. Ci pensava da giorni…

17.

Era un viaggio trascendentale tra monti e boschi.
Era un volare alto al di sopra di cime e ghiacciai perenni.
Era come essere circondato da camosci e marmotte nella stagione dell’amore.
Era trascinare la propria mente molto vicino alla perfezione assoluta.
Era come raggiungere la consapevolezza di sé, la conoscenza del mondo.
Ecco qual era l’esperienza che faceva il maresciallo ogni volta che avvicinava alla bocca, con solenne teatralità, la prima forchettata di pizzoccheri.
Era un’esperienza mistica, che lo trasportava in una sorta di nirvana, ma che lo trascinava anche nel più perfetto dei gironi infernali, provocandogli i peggiori istinti animali e i più aggrovigliati sensi di colpa.
- Ma perché non apri un ristorante? chiedeva a sua moglie ogni volta che si cimentava nella sfida con il grano saraceno.
- Ci mancherebbe anche il ristorante!, gli rispondeva lei, ogni volta, con evidente orgoglio.
- I pizzoccheri devono essere fatti a mano, in casa. Quelli che si comprano ‘già fatti’ sono un’altra cosa. La senti subito la differenza, continuò il maresciallo, chiudendo gli occhi e cercando di perpetrare all’infinito l’esperienza del primo approccio.
Tra le sue numerose letture, si era fatto convincere, tempo prima, a leggere quel libro che aveva avuto grandissimo successo, ‘La prima sorsata di birra’. Era una sorta di vademecum delle esperienze più vicine alla felicità assoluta, che fotografava alcuni istanti sublimi di serenità e di godimento allo stato puro.
Ogni volta che mangiava i pizzoccheri della moglie gli ritornava in mente il libro e pensava, tra sé e sé, che se l’autore avesse mai provato quel piatto valtellinese l’avrebbe senz’altro aggiunto alla sua insolita classifica del piacere. Magari in testa.
Elena lo guardava, a metà tra l’amore e l’ammirazione, tra la soddisfazione di quanto il suo lavoro fosse apprezzato e l’invidia per quell’uomo che aveva, da sempre, la capacità di sognare per cose semplici.
- Ciaoooo!!!, urlò Giulia, entrando come una furia nella stanza da pranzo, trascinando con sé fango, polvere e il vento del nord.
- Ciao un corno, sbottò subito il maresciallo, improvvisamente tornato alla realtà.
Giulia, fetente e lasciva, si buttò tra le braccia del padre rilasciando uno schioccante bacio sulla sua guancia, sapendo che quel gesto avrebbe istantaneamente incrinato il burbero approccio del genitore.
- Dove sei stata? Ma lo vedi che ore sono? Una volta che possiamo mangiare in pace insieme…
Lei lo guardava.
Amava suo padre come nessun altro al mondo, sapeva che il sentimento era ricambiato con anche un carico di briscola. Sapeva come prenderlo, anche se non se ne era mai veramente approfittata.
Sapeva come prenderlo, eccome…
- Ero su al Valtellina, cioè .. ehm, in pineta. Scusa papino, non mi sono accorta dell’ora. Ero con Mattia.
Si precipitò in bagno a lavarsi le mani e tornò immediatamente al tavolo, pronta per il pranzo.
Elena si avvicinò con il piatto fumante, la salutò con un grattagratta sulla testa, le ordinò di sedersi e le indicò il piatto.
- Signorina, ora si mangia, e poche ciance, aggiunse, troncando immediatamente la disputa familiare e versando acqua nel suo bicchiere. Il Pandolfi recepì subito il messaggio neanche tanto subliminale della moglie e tornò a concentrarsi sui pochi pizzoccheri rimasti nel piatto.
La radio in sottofondo, rigorosamente sul terzo canale nazionale, rilasciava nell’aria le note dall’ultimo concerto di musica sinfonica.

18.

RaiRadioTre, per Elena, più che un canale radio era un faro nella notte.
Era la sua compagnia da sempre, anche prima che comparisse all’orizzonte il suo principe azzurro in uniforme.
Ma ora più che mai.
In quei lunghi pomeriggi, spesso sola in casa, alle prese con inverni durissimi e bui dalle prime ore del pomeriggio, quel canale era per lei non solo una compagnia di qualità, ma un vero e ultimo legame con il mondo esterno, con quel mondo culturale che aveva abbandonato.
Amava tenersi aggiornata sul mercato dei libri, le nuove tendenze, i nuovi autori.
Seguiva con passione e trasporto tutte le nuove tendenze, tutte le novità nel mondo letterario.
Era il suo unico - velato – rimpianto. Spendeva gran parte della sua giornata tra racconti e romanzi di diverse origini, tra autori erano già star planetarie ancora prima di aver pubblicato una riga e veri e propri esordienti. Proprio come se continuasse la sua carriera professionale in casa editrice.
Era un mondo affascinante, che aveva lasciato con consapevole malinconia.
Chi per convenienza professionale, chi per amore, chi per amicizia sincera, chi per invidia, tutti avevano cercato di convincerla che buttare alle ortiche era il più grande errore che potesse commettere.
- Elena, ma sei impazzita?, aveva urlato, tra i tanti, il direttore editoriale.
E aveva provato con ogni mezzo a farle cambiare idea. Prima con un’incazzatura poco celata, poi blandendola come se fosse il più grande editor di tutti i tempi, poi con una corte personale al limite dell’imbarazzante. Anche se l’ultima, veniva facile...
Ma lei era ormai decisa. Perché convinta.
Granitica, appunto. E se ne era andata, senza chiudere le porte però.
Ne era certa, prima o poi, ci sarebbe stata un’altra occasione.

19.

Giulia le balle le sapeva raccontare, era in grado di farti su con un sorriso e con quegli occhi.
Il maresciallo conosceva sua figlia, come tutti i genitori presenti nella vita degli eredi diretti. E quando si accorgeva che la beneamata lo prendeva per i fondelli con qualche fandonia, il più delle volte veniale, decideva sul momento se affrontare la cosa o lasciar perdere. Non era un carabiniere per caso!
Anche questa volta il Pandolfi lasciò perdere, conscio del fatto che le avventure di sua figlia erano parte della sua crescita, momenti che si sarebbero accumulati nel tempo e che l’avrebbero fatta presto adolescente e poi adulta.
E poi, se lo ricordava bene quante balle aveva raccontato lui stesso ai suoi quando era stato il momento, quante panzane era riuscito a far digerire ai suoi lontani genitori.
- Quindi com’era in pineta? Orsi? Cervi? Dinosauri nostrani alle prese con qualche pterodattilo svizzero?
L’ironia, spesso caustica, regnava sovrana nella bocca e nella mente del maresciallo.
- Ma dai papà, sempre a prendermi in giro, uffa…
- Beh, visto che eri in giro con il prode Mattia, sono certo che avrete scoperto qualcosa, visto qualcuno, sentito o seguito qualcun’altro.
Lei lo guardò da sotto gli occhi, con un sorrisino impercettibile.
- Ho trovato questa, buttando qualcosa sulla tavola ancora imbandita.
- In pineta? strabuzzò gli occhi il comandante. - In pineta dove?

20.

Il paese è piccolo e la gente mormora.
Che il paese fosse piccolo e che la gente mormorasse era assodato. E che le storie si creassero dal nulla, anche.
In particolare in montagna, dove la metà dell’anno è segnata da temperature rigide, innevamenti improvvisi e prolungati, il tutto spesso annaffiato da buon vino e superalcolici che annebbiavano le menti e anche aiutavano in modo incontrollato a sciogliere le lingue.
E poi c’erano i bar, centri sociali ante litteram dove non solo si sviluppava il racconto della vita quotidiana, ma erano soprattutto poli aggregativi dove si tracciavano strategie, si costruivano joint-venture degne della Silicon Valley e, soprattutto, si parlava di chi non c’era.
E così nascevano i personaggi.
C’era il ‘Pisa’, anziano ex operaio della locale società che estraeva la famosa pietra ollare, buona a molti usi in edilizia oltre a essere adottata, grazie alla sua ‘morbidezza’, dagli artisti locali per realizzare opere e sculture di tutti i tipi. ‘Pisa’ perché anni di lavoro manuale e di fatica vera lo avevano ‘stortato’ irrimediabilmente, facendogli prendere una camminata che stava più di qui che di là, assumendo un’aria da Torre pendente di medievale memoria.
Poi c’era la Cofana, sciura dalla passata eleganza che, ormai alle soglie degli ottanta, stoicamente cercava di resistere al tempo che le sfuggiva tra le dita, manutenendo con perseveranza e testardaggine una capigliatura a metà tra Caparezza e qualche presidente americano.
Ma la massima espressione della creatività locale, il sublime traguardo era stato raggiunto con la Smartfona, la titolare del locale punto vendita di tecnologia, in possesso da sempre di un telefono dalle dimensioni abnormi, ma soprattutto in gara per essere una delle donne più grosse dell’intera valle. Da lì la crasi che la fotografava con esattezza millimetrica.
Oltre, come detto prima, alla Marescialla. Con sommo disappunto del maresciallo vero.
Il Berardi era invece soprannominato, più bonariamente, il Silvano, vista la sua relazione con la Taveggia. I più raffinati, a volte, accompagnavano il suo soprannome intonando le prime parole della canzone di Jannacci (‘Silvano, non valevole ciccioli…), dandosi pure di gomito.

Ma il Berardi sembrava non farci troppo caso.
L’impegno nel cantiere, la necessità di gestire comune, condominio, carpentieri, idraulici, architetti e rotture varie e, a bocce ferme, la Silvana, non gli lasciavano molto tempo durante la sua permanenza tra i monti per incazzarsi troppo.

21.

Li conosceva tutti, dal primo all’ultimo.
Generazioni su generazioni avevano avuto il piacere - alcuni meno - di avere a che fare con Don Artemio, istituzione del paese da ormai più di quarant’anni.
Aveva preso possesso del Santuario agli Alpini agli inizi degli anni settanta, soppiantando il vecchio parroco ormai in evidenti difficoltà fisiche, ma soprattutto mentali.
Era arrivato una mattina di novembre, nebbione da nuvole basse che si formavano spesso nel fondo valle per poi inghiottire il paese.
Piovigginava pure, - uno schifo’, pensò, ancora con le valigie in mano prima di entrare nella casa adiacente alla chiesa.
- Chi me l’ha fatto fare di cascare in questa valle abbandonata da dio? E poi si era subito scusato con il suo Capo, per la innocente blasfemia.
Era arrivato da una soleggiata località sul ramo del lago di Lecco, dove sì l‘inverno arrivava come dappertutto, ma si presentava sempre attenuato da una vista meravigliosa e da un clima più clemente.
Il giorno dopo la valle, per tutta risposta e per evitare inutili malintesi, aveva regalato una giornata spettacolare in cui il cielo era blu intenso e i contorni delle montagne sembravano ritoccati da una mano invisibile. Le pinete sempre verdi e gli alberi in autunno dai mille colori completavano la visione, distribuendo armonia e pace per gli occhi.
Si era subito rinfrancato e aveva cominciato immediatamente la sua missione, con visite, appuntamenti, chiacchiere e ritiri spirituali.

Ora che aveva superato i settanta da un pezzo, era un libro di storia della valle, con tanto di sommario e indice. Aveva visto nascere, crescere e morire generazioni e aveva scosso spesso le coscienze con il suo atteggiamento per nulla dimesso, incalzante, garantendo la sua presenza in ogni disputa.
Spesso dalla parte giusta.
Li conosceva davvero tutti, per nome e cognome, anche quelli da poco in questa valle di lacrime. E ogni volta che ti incontrava per le strade, ti salutava per nome, ti dava rigorosamente del tu e aveva sempre una parola di conforto. Tranne le donne, per cui nutriva una sorta di rispetto misto a ostilità, al limite della misoginia.
Ma quando aveva da dire loro qualcosa non esitava.
Mica facile.
Era uno dei ‘centri’ del paese, e ormai i valligiani tutti l‘avevano capito e registrato. E quando avevano bisogno andavano da lui.
Ricordava Don Camillo, alleggerito però da tutti i coinvolgimenti politici dell’originale.
Un personaggino da prendere con le molle, ma dall’umanità e carità infinite.

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