Capitoli 73-85

73.

‘Più su, sempre più su...’ recitava una di quelle canzoni di altri tempi, che insieme a ‘Quel mazzolin di fiori’ era una delle hit più cantate nell’Italietta degli anni ‘60, tutta gite in giornata, bambini urlanti, picnic ai margini delle strade e sonnellini di supporto.
Ed era quello che stava vivendo inconsapevolmente Romeo jr nella sua salita automobilistica, esclusa la parte canora, ormai andata in disuso. I discorsi erano sempre gli stessi, l’atmosfera uguale, e la spensieratezza identica. E i bambini si lamentavano allo stesso modo.
La strada si infilava in una valle stretta che diventava anche più stretta man mano che si raggiungeva la quota. Il percorso costeggiava la valle, di fianco a uno strapiombo che toglieva il fiato, fino a raggiungere l’inizio dell’ultimo tratto, una vecchia strada costruita ad hoc al tempo della edificazione delle due gigantesche dighe - tra le più grandi d’Europa - che riposavano, per fortuna, a quasi duemila metri.
Da lì, zaino in spalla, finalmente si saliva a piedi al rifugio.

Il capo comitiva, almeno così sembrava, a quel punto con gentilezza congedò il ragazzo, indicandogli il sentiero che partiva a fianco del parcheggio.
- Non si può sbagliare, e poi ci sono le indicazioni. Comunque basta seguire il Pizzo Scalino, il rifugio è ai suoi piedi. Da quella posizione la montagna assumeva un’aria più incassata, schiacciata, dimostrava più anni, rispetto all’immagine dal paese, più nitida e forte, più giovanile.
Cominciò a salire. I primi tratti più ripidi, in mezzo alla pineta, con il sentierino che sembrava farsi strada tra pareti lisce e conturbanti, luoghi ideali per le arrampicate libere. Poi il camminare diventava più morbido, o meglio, un continuo saliscendi, fino all’ultimo salto che, una volta superato, rivelava all’escursionista una conca di straordinaria bellezza, un vero e proprio gigantesco piazza sulla valle, con il rifugio che troneggiava poco sopra, la chiesetta che dominava la vista e un gruppetto di piccole case in pietra nel centro che un tempo ospitavano animali per gli alpeggi estivi.
Oggi quasi tutte le ex stalle erano state ristrutturate e rese abitabili, alcuni producevano formaggio sul luogo, mentre tra di loro scorreva ancora un piccolo torrente che dava una pennellata ancora più dolce all’immagine generale.
Una meraviglia.

Si fermò a guardare, pensando a cosa si era perso vivendo dall’altra parte del mondo. Ecco perché in determinate aree del mondo alcuni popoli ritenevano le montagne dimore sacre agli dei, si ritrovò a pensare. Come il monte Uluru, sacro per gli aborigeni, nell’Australia che Romeo conosceva benissimo.
L’alpeggio era già affollato. I locali indaffarati intorno alle loro case, i turisti tutti concentrati intorno al rifugio.
Entrò nell’edificio, chiese se sarebbe stato possibile mangiare all’ora del pranzo, prenotò, scelse dal menù - i suoi compagni di viaggio gli avevano consigliato il brasato con la polenta, e così fece - e tornò all’aperto. Mancavano ancora un paio d’ore al momento di mettersi comodo per riempire lo stomaco, e decise di fare subito quello che era venuto a fare.

74.

L’Australia? Cosa c’entra l’Australia?
Il Pandolfi, da raffinato segugio che era, aveva collegato finalmente, dopo non poco tempo, il giovane turista in visita e la famosa cartolina, di cui aveva perso le tracce dopo averla data in cura al Berardi.
- È inutile che mi guardi così Berardi, aveva rimbrottato nel parcheggio del Residence Valtellina, quando aveva improvvisamente allineato le due cose.
- La cartolina, se la ricorda?, da dove arrivava?

l Berardi lo guardò, e dopo pochi secondi gli si illuminò il viso.
- Ma certo la cartolina, quella vecchia, con l’Opera di Sidney davanti. L’Australia!
Alla buon’ora! pensò il maresciallo che già aveva la mente scatenata in collegamenti storico-geografici che mettevano in connessione un giovane turista dal fascino innato, la piscina del Valtellina, la pineta, sua figlia e una cartolina che ormai stava riconquistando il centro del palcoscenico della valle.
- Già, proprio quella. L’ho affidata a lei, prima del Natale scorso, perché provasse a capire chi l’avesse scritta. Che fine ha fatto? E dire che gliel’avevo tanto raccomandata...rispose piccato il Pandolfi, guardando l’imprenditore negli occhi aspettando una risposta intelligente e soprattutto rassicurante.
Oh cazzo, pensò il Berardi, cercando in pochi secondi, quasi fosse a un quiz televisivo, di ricordare che fine avesse fatto il prezioso reperto.
Oh cazzo, si disse simultaneamente il maresciallo, scrutando il Berardi, e rendendosi conto che la cartolina era forse definitivamente perduta.

Berardi, in quel momento si sentì simultaneamente Watson, Lucas, Hastings e, crepi l’avarizia, anche Fazio. In pratica seguì il richiamo della missione e assunse immediatamente il ruolo del più vicino collaboratore dell’investigatore incaricato.
E senza aggiungere una parola partì in quarta.
Aprì lo sportello della sua auto, posteggiata a pochi metri da quella del comandante. Retro veloce, sgommata di partenza da far invidia a Steve McQueen e gomito d’ordinanza fuori dal finestrino. Scomparve subito dietro la curva.
Il maresciallo rimase, nel mezzo del parcheggio, a gambe larghe, con le braccia aperte, allibito.
- Ma dove diavolo sta andando? Ma è impazzito? A quello lì l’ossigeno gli fa male oppure l’amore lo sta rimbambendo…, concluse dentro di sé, avvicinandosi alla sua auto con il chiaro intento di ripartire verso la caserma senza fare la stessa figura da imbecille.
La scena, infatti, era stata vista dai molti operai che transitavano in continuazione sul piazzale, che si stavano dando di gomito ridendo in modo sguaiato e rifilandosi sonore pacche sulle spalle.
Pandolfi si intrattenne ancora qualche minuto con le maestranze, ridendo e scherzando con i ragazzi del cantiere.
A un certo punto li salutò tutti, salì in auto e partì.

Uscì dal cancello, fece il primo tratto, primo tornante a U a destra, altro piccolo rettilineo, secondo tornante a sinistra, leggera curva sulla destra, tratto rettilineo, dolce curva a sinistra... ma non fece tempo a finirla perché si ritrovò davanti il Berardi, entusiasta, che saltava in mezzo alla strada come un folletto dei boschi, davanti alla vecchia fontana del Sasso, sventolando qualcosa nella destra .
Il maresciallo inchiodò sgommando. Si fermò a pochi centimetri dal gigante buono.
- Ma è ammattito, vuole che la stenda in mezzo alla strada? gli urlò furibondo il tutore dell’ordine. - Se vuole suicidarsi faccia pure, ma non mi tiri dentro. Io ho famiglia! e giù un’infilata di improperi, di maledizioni, e di insulti veri e propri.
- La cartolina, disse il Berardi, - ho trovato la cartolina, maresciallo!
Aggirò l’auto, si avvicinò con un balzo al finestrino semi aperto dalla parte del guidatore e ripropose quell’operazione di sventolio già vista pochi secondi prima.
Pandolfi lo fissò a lungo, senza aprire la portiera.
Ma a un certo punto, mollò la presa con la quale si era aggrappato al volante frenando. Rilassò il viso, fece un lungo sospiro, sorrise perfido, e infine fece uscire una mano biricchina dal finestrino aperto a metà, come se fosse stato una scimmia dietro le sbarre di uno zoo alle prese con il furto quotidiano a carico di qualche distratto visitatore. Sfilò letteralmente la cartolina dalle mani dell’ignaro Berardi, rialzò il finestrino e ripartì sgommando verso il paese. Era contento come una Pasqua per quell’azione che l’aveva fatto tornare in possesso di una cosa che pensava di aver perso definitivamente.
- Almeno non la perdi un’altra volta, tonto...sentenziò da solo nell’abitacolo.
Sghignazzando svoltò subito a sinistra, al bivio dopo il negozio.
La prova-chiave di tutta ‘l’inchiesta’ era tornata in suo possesso. Ora si poteva ripartire.
Il Berardi restò di sasso, ma rientrò immediatamente in casa di sua madre che, non sapeva perché, era scoppiata in lacrime poco prima.

75.

Cosa era successo?
Il Berardi, di fronte all’intuizione del Pandolfi nel parcheggio del residence, dopo il primo smarrimento, aveva avuto un’illuminazione, ricordando all’istante dove aveva lasciato la cartolina.
Quando l’aveva avuta dal maresciallo, l'imprenditore edile l’aveva dimenticata in quella borsa ormai dismessa e che aveva regalato alla madre perché la usasse come archivio di documenti e analisi mediche. Era in una tasca laterale che sua madre non aveva neanche aperto.
Berardi aveva posteggiato sul prato dietro la fontana, aveva sbattuto la portiera con forza, e si era messo a correre per la stradina in mezzo ai vecchi fienili per raggiungere velocemente la casa di sua madre.
Era entrato di schianto in casa, facendo fare un balzo alla povera donna seduta nel salotto alle prese con il suo lavoro a maglia quotidiano.
- Ma sei diventato matto? gli urlò dietro, minacciandolo con uno dei due ferri. Vuoi farmi morire d’infarto?
- Perdonami, è urgentissimo. Dove hai messo quella borsa che ti ho lasciato per metterci i tuoi documenti un po’ di tempo fa? Non l’avrai mica buttata via, spero? le domandò a bruciapelo saltellando sui piedi come un bambino in piena agitazione.
- Vorrei averlo fatto solo per farti un dispetto. È di là in camera, nell’armadio, sul fondo. Vai a prenderla se ti serve. Attento a non mettere tutto in disordine! Che pazienza… E si era rimessa a tessere la sua opera d’arte di lana, forse uno scialle o una sciarpa.
Berardi era corso in camera, aveva aperto l’armadio quasi scardinandolo, aveva scavato tra le mille cose appoggiate sul fondo, e finalmente aveva trovato la borsa.
Aveva aperto con grande cautela la cerniera di quella tasca esterna, aveva infilato la mano alla ricerca della cartolina, ne aveva sentito sotto i polpastrelli la liscia superficie e l’aveva estratta, attento a non rovinarla.
Finalmente l’aveva trovata!
Tornato nella sala/cucina dalla madre, le aveva stampato un sonoro bacio sulla guancia sussurrandole ‘ti voglio bene’ e stava per uscire altrettanto di corsa quando la madre l’aveva fermato.
- Cosa c’era di così importante in quella borsa? gli aveva domandato.
Lui l’aveva guardata negli occhi, e le aveva spiegato che cercava solo una cartolina, dalla lunga storia e che si perdeva nella notte dei tempi.
- Niente di importante, mamma. Ma è del maresciallo, gliela devo restituire.
Tutta quella serie di elementi aveva fatto incuriosire la vecchia signora, alla ricerca ogni giorno di qualcosa per sentirsi viva e importante.
- Cartolina? Storia? Maresciallo? Fai un po’ vedere?
Il Berardi, sbuffando in modo plateale, aveva allungato un braccio per mostrare alla donna l’oggetto del contendere.
La vecchia madre si era soffermata sulla foto di Sidney, corrugando la fronte e scuotendo la testa dolcemente, quasi in modo impercettibile.
Poi con le mani tremanti non solo per l’età avanzata, l’aveva girata e aveva cominciato a leggere. Leggeva e guardava suo figlio, guardava suo figlio e tornava a leggere.
A un certo punto Berardi aveva chiesto la cartolina indietro - perché devo scappare, sono da te domani a pranzo come d’accordo, va bene?, e mentre allungava per la seconda volta il braccio per riprendersela aveva incrociato lo sguardo della madre, pieno di lacrime.
Rimase di sasso.
- Che cosa succede?, le aveva domandato.
- Ok ascoltami, aveva continuato - riporto su al Valtellina la cartolina al maresciallo e poi torno da te immediatamente. Non ti lascio così in questo stato.
Aveva risalito la stradina tra le case alla velocità della luce e, mentre stava per aprire la portiera della sua auto, ne aveva sentita un’altra arrivare.
- È sicuramente il maresciallo, aveva pensato.
Non si sbagliava.

Dopo che il maresciallo l’aveva ‘derubato’ della cartolina, Berardi rientrò, sempre di corsa, in casa della madre.
La trovò ancora seduta sul divano, con un fazzoletto zuppo in mano e con gli occhi gonfi fissi alla finestra, come se se stesse cercando qualcosa di molto lontano e di dimenticato.
- Ma che diavolo è successo? Perché piangi? Mi vuoi spiegare?

76.

Romeo jr si fece indicare dal gestore del rifugio il sentiero per salire verso il pizzo Scalino. La montagna era lì, quasi da toccare, e sovrastava letteralmente il rifugio con tutta la sua austera severità.
- Basta che segua questo sentiero, salga per qualche metro e si ritroverà su un’enorme spianata. Il sentiero la attraversa tutta e poi comincia a salire sul fianco della montagna. Ma ci vogliono parecchie ore per salire, non vorrà andarci ora spero?
- No, no, non voglio salire in cima, ribadì il ragazzo. - Voglio solo salire su, come l’ha chiamata? pianata?
- No spianata, grande piano, un prato gigantesco, bellissimo, corresse il gestore.

- Ecco, spianata. Voglio solo fare un giro lì sulla spianata, guardarmi intorno, e fare qualche fotografia. Immagino che la vista da lassù sia ancora più bella.
E così, senza aspettare alcuna conferma, Romeo jr prese il sentiero che passava proprio davanti al rifugio, e cominciò a camminare velocemente, anche perché aveva lasciato lo zaino al rifugio e si sentiva leggero come una piuma.
Risalì quel breve tratto. Quando ai suoi occhi si rivelò quella sorta di gigantesca terrazza naturale ai piedi della montagna fu investito dal vento che arrivava direttamente dalle valli circostanti e sicuramente dal ghiacciaio che giaceva da millenni qualche centinaio di metri in alto.
Si chiuse la giacca.
L’aria era intensa anche se gelida. Si poteva quasi sentirne il sapore.
Spaziò con gli occhi. La montagna sembrava quasi chinarsi verso di lui, come se avesse voluto guardarlo meglio. Il Pizzo lo stava scrutando, ne era certo.
Complice qualche nuvola, la luce sparì, in un attimo. E tutto assunse un’aria più inospitale, dura.
Si sentì intimorito.
Buttò lì un ‘Hi, how are you?’ verso la montagna per imbonirla, per farsela amica.
Il Pizzo non fece un plissé, e continuò a tenerlo sotto controllo.
Lui camminò per un po’ seguendo il sentiero, poi si tolse le scarpe, le calze e cominciò a camminare a piedi nudi sul tappeto erboso, morbido come una moquette e gelido come l’aria.
Era una sensazione meravigliosa.
Continuò così per qualche metro fino a quando incontrò i primi sassi della frana che il Pizzo alimentava ogni volta che voleva scrollarsi da dosso qualche preoccupazione.
Si sedette su quello più grosso e piatto, rinfilò calze e scarponi perché stava cominciando a rischiare l’assideramento, sfilò dalla tasca interna della giacca a vento un piccolo quaderno, consunto, rovinato dal tempo, con una copertina nera.
Cominciò a sfogliarlo con grande attenzione, delicatezza, quasi fosse un vecchio codice miniato medievale di inestimabile valore.
Arrivò alla pagina desiderata, quasi alla fine del quaderno.
Diede un’ultima occhiata a quello che lo circondava, soprattutto alle montagne lontanissime all’orizzonte che si rincorrevano senza soluzione di continuità.
Poi cominciò a leggere, a voce alta.

Che devo dire? Devo solo prenderne atto. Nonostante abbia anche telefonato un paio di volte (e con che fatica e difficoltà), nonostante abbia spedito tre cartoline, due lettere, lui non mi ha mai risposto, neanche un segno, nemmeno un no secco e assoluto. Sono distrutta e profondamente infelice. Ma devo accettare la realtà.
Da oggi esco definitivamente dalla sua vita e ne comincio una nuova.
Ho solo una promessa da farmi.
Appena potrò, tornerò a Chiesa e salirò al ‘nostro’ posto, sotto il pizzo Scalino, dove ci siamo innamorati, dove tante volte siamo stati insieme e dove ci eravamo promessi saremmo tornati ogni volta che avremmo voluto urlare al mondo il nostro amore, qualsiasi luogo avessimo scelto per vivere la nostra vita in comune.
Ora che è tutto è finito vorrei comunque un giorno tornare in quel luogo fatto di vento e di silenzio, per mettere la parola fine a questa triste storia. Per chiudere con il passato bisogna tornare dove tutto è iniziato.
Se non riuscirò io, spero che lo possa fare qualcuno, al mio posto.
Fine, non scriverò più.

Paola, Sidney, 5 ottobre 1974

Si fermò su quel sasso, per oltre un’ora, saltando senza ordine tra le pagine più vecchie di quel diario, ripensando alla madre, al suo passato, al dolore che aveva vissuto dovendo abbandonare i propri sogni. E lui aveva ricordato la sofferenza fisica che aveva provato quando sua madre se ne era andata per sempre, dopo la malattia.
Romeo jr chiuse il quaderno nero e lasciò il palmo della sua mano sopra la copertina per qualche secondo, come non volesse staccarsi da quei pensieri, come se in quel modo potesse sentire ancora quelle parole.
L’emozione lo travolse, pianse, il vuoto lo abbracciò senza lasciarlo per qualche minuto.
Il vento tornò a infilarsi nei vestiti, scompigliandogli i capelli. Si scoprì infreddolito, tremante, triste.
- Ecco mamma, ho fatto. Ora sei libera, per sempre.
Si asciugò gli occhi con il palmo della mano, si allacciò gli scarponi e infilò il prezioso quaderno nella tasca della giacca a vento, con un salto scese dal sasso, buttò un ultimo sguardo al Pizzo - che ricambiò con un accenno di sorriso e un impercettibile inchino - e cominciò a muoversi per tornare al rifugio.
Si sentiva sollevato. Il suo compito principale, in quel viaggio sabbatico che stava facendo in giro per l’Europa, era stato assolto.

Man mano che si avvicinava al rifugio, un inebriante profumo di polenta lo agganciò e lui, seguendo il proprio naso, aumentò la velocità per poter annegare tutte le tristezze nel vino e nel cibo.

77.

Dopo il aver ripreso possesso della cartolina, dopo la sgommata, dopo il viso esterrefatto di Berardi impresso nello specchietto retrovisore, Pandolfi raggiunse rapidamente la caserma.
Aveva ancora stampigliato un sorriso sornione e soddisfatto sul viso. Quando entrò e il piantone lo salutò scattando sull’attenti, lui rispose con una poco marziale pacca sulla spalla.
Regnava un’aria sonnolenta quel pomeriggio, sonnolenta e terribilmente silenziosa, cosa che contrastava con la voglia di fare e brigare del maresciallo.
- Russooo! chiamò a gran voce.
Il rumore degli anfibi echeggiò rimbombando in tutta la caserma, fino a quando, quasi correndo, Russo entrò nell’ufficio del comandante.
- Comandi, signor maresciallo. Che succede? chiese sbattendo tacchi e scattando sull’attenti.
Pandolfi lo guardò.
Russo l’avrebbe perso, ne era certo; se non a brevissimo entro poco tempo. Era bravo, sveglio e soprattutto la sua voglia di fare e il suo naso investigativo lo facevano scalpitare. Forse Chiesa non era il palcoscenico ideale per soddisfare le sue voglie di crescita e di carriera. Fino a quel momento però, se lo teneva stretto.
- Russo, cammini come un dinosauro. Ti si sente fino in cima al Bernina. Ascoltami.
Russo avvampò, ma poi si sedette seguendo il gesto del maresciallo.
- Allora, te la ricordi la cartolina di Sidney? È risaltata fuori e…
- Maresciallo, ma Locatelli e io abbiamo fatto di tutto per sapere qualcosa, nessuno ne sa nulla. Anche i più anziani non ricordano nulla o nessuno che abbia avuto a che fare con l’Australia, disse Russo, rendendosi conto di aver interrotto il suo superiore. Prontamente si scusò.
- Non ti preoccupare. Lo so che avete battuto tutto il gerontocomio locale, e non solo. Ma oggi abbiamo un indizio, anzi forse qualcosa di più di un indizio. Hai sentito parlare del turista che è arrivato in paese qualche giorno fa? È ospite dell’albergo Paradiso, dalla signora Silvana.
- Certo, come si fa a non sapere che c’è? Le ragazze del paese non parlano d’altro, in ogni negozio in cui entri, non senti altro che apprezzamenti, anche coloriti, sul conto di quell’angelo che è calato in valle. Non vedo l’ora che se ne vada, così ritorno ad avere qualche chances, rispose Russo, marcando il suo accento campano per fare un po’ di teatro.
Pandolfi sorrise senza darlo a vedere.
- Ma lo sai da dove arriva quello lì?
- No, non di preciso, credo che parli inglese ma non sono sicuro.
- Arriva dall’Australia, dall’altra parte del mondo, alla fine del mondo.
Russo capì al volo. Mancò solo che per emulazione non si desse anche lui una manata sulla fronte.
- La cartolina. Lei crede che abbia a che fare con la cartolina? Ma è troppo giovane… per averla scritta lui. O no? E poi una cartolina è una cartolina, potrebbe essere solo una coincidenza.
Questo gli piaceva di Russo. Grande pragmatismo, grande capacità interpretativa, subito con qualche conclusione anche se da verificare.
- Ma no, non può averla scritta lui, è di oltre quarant'anni fa, lui ne avrà più o meno venticinque. Non so se ha a che fare con la cartolina, ma il fatto che in valle non si parli altro che dell’Australia, così improvvisamente, può essere una coincidenza, questo sì, ma credo che dobbiamo - sempre nell’ufficiosità - verificare. O sbaglio?
Russo non era entusiasta della cosa. Lui voleva una vera indagine, voleva scavare dentro a qualcosa di torbido, complesso, con una buona dose di mistero. ‘Sta cartolina incominciava a scassargli l’anima… lo pensò anche se non con queste parole ma con qualcosa di più colorito di origine campana.
- Io capisco che vuoi occuparti di cose ben più importanti, continuò il maresciallo come se avesse letto nella mente del carabiniere di fronte a lui, - ma in questo momento di stanca, con nulla di fondamentale all’orizzonte, ti chiedo la cortesia, personale, di verificare se esiste un nesso tra i due elementi. Pensi sia possibile? chiese il maresciallo, con la voce più dolce e convincente possibile.
- Posso farle una domanda, maresciallo?
- Dimmi.
- Ma perché le interessa tanto questa cartolina?
- Non te lo so dire. Forse perché l’ha trovata mia figlia. E poi forse perché ha resistito quarant'anni e credo quindi che sia doveroso sapere a chi era diretta. Poi perché, perché, perché…perché mi intriga, mi incuriosisce. È un banale mistero che vorrei risolvere, per sapere cosa c’è dietro, per capire cosa quel messaggio, sicuramente ‘in codice’, significa. Pura curiosità. Nulla di più. E poi perché mi ricorda una brutta indagine, di tanti anni fa, all’inizio della mia carriera...
- Ok maresciallo. Per lei questo e altro. Mi metto subito in moto. Posso coinvolgere ancora Locatelli? È un buon modo per fare un po’ di esperienza senza il rischio di bruciarsi. Che dice?
- Te lo avrei proposto io. Locatelli deve svegliarsi un po’. Svezzalo tu! Hai mano libera, decidi tu come muoverti, con chi parlare, tempi e modi. Fai tu, ogni giorno mi riferisci, anche se non hai novità. Tienimi informato, insomma. Se arrivano necessità più gravi ne parliamo. Buona giornata.
- Agli ordini maresciallo, comincio subito. Scattò sull’attenti, salutò e uscì. E il maresciallo lo sentì chiamare a gran voce Locatelli, con piglio autoritario.
Sorrise.

Si rilassò sulla sua morbida sedia. Voltò lo sguardo alla finestra e alle montagne, pensando che l’Australia sarà stata sicuramente bellissima, visitarla un viaggio da sogno, ma la primavera lì in valle aveva un che di esclusivo, unico.
- Questo è un angolo di mondo, un angolo piccolissimo. Ma è il più bell’angolo tra tutti gli angoli. E tutto il resto del mondo che si fotta!!, filosofeggiò soddisfatto il Pandolfi.
Si girò e, sbuffando, si rimise al lavoro.

78.

Si sedette di fianco all’anziana madre.
Mentre la guardava da vicino, si accorse di quanto il tempo aveva solcato il suo viso, di quanto la vita difficile e sempre in salita l’aveva definitivamente segnata.
Sposata da subito, negli anni in cui vivere in montagna era ancora durissimo, aveva cresciuto due figli e aveva visto cinque anni prima morire il marito, uomo autoritario e di altri tempi.
Oggi viveva nella sua casa di sempre, sola e intristita, nell’attesa quasi spasmodica di una visita dei suoi figli e dell’unica nipote, la figlia del fratello del Berardi, ormai alle soglie dei 25 anni.
- Allora, mi dici cosa sta succedendo? le chiese appena le lacrime avevano rallentato e il respiro si era regolarizzato.
Lei non scostò neanche di un centimetro lo sguardo. Fissava sempre la finestra che magicamente rivelava tutta la valle verso Sondrio, in un rincorrersi di verde, monti e cielo blu.
Berardi era preoccupato. Cercò di ripercorre quanto era successo pochi minuti prima, la sua irruzione un po’ violenta, la ricerca della borsa, la cartolina finalmente ritrovata, lei che scoppiava in lacrime, lui che correva fuori per consegnarla al maresciallo per rientrare immediatamente. E ora eccoci qui.
- Mamma, ne vuoi parlare con me? Posso aiutarti? chiese di nuovo con grande dolcezza. - Cosa ti ha sconvolto in questo modo e così di colpo?
- Tu non sai. E non potresti neanche ricordare, eri troppo piccolo. Pensavo che tutto fosse sepolto per sempre, dimenticato, ma quella cartolina riapre una brutta storia, una storia di cui non possiamo andare fieri, anche se molta della responsabilità era e rimane di tuo padre. Una brutta faccenda, caro figlio mio, brutta brutta brutta.
Aveva questa mania, accentuata negli anni, di rimarcare tre volte - e anche di più - le parole e i concetti più importanti.

Berardi cominciò a preoccuparsi, ma sul serio, a quel punto.
Cosa diavolo era successo, in quel passato misterioso e da dimenticare?
- Io ti racconto tutto. Ma non farne parola con tuo fratello. Anche se sono passati oltre quarant'anni, non so come la prenderebbe. E così mi tolgo un peso dal cuore.
- Lo vuoi un caffè? e senza aspettare una risposta dal figlio si alzò, preparò una moka da tre, si avvicinò al fornello da tre fuochi ormai datato, accese quello piccolo e dando le spalle al Berardi cominciò a raccontare.
- Tuo fratello aveva proprio perso la testa. Si era invaghito di quella ragazza, troppo sofisticata e, almeno per me, troppo magra. Non era adatta a lui, troppo piena di progetti, troppo irrequieta. Era troppo di tutto. Lo voleva portare via da noi.
- Ragazza, quale ragazza? E di che anni stai parlando?

E la madre di Berardi cominciò a raccontare
- Tutto è cominciato nel 1973, se non ricordo male. Paola Luppi era una giovane studentessa appena diplomata, di Milano, che veniva con la famiglia in vacanza in Valmalenco da anni. Bella come il sole. Affittavano un appartamento qui al Sasso.
Quell’anno, nei quindici giorni che aveva passato qui con la famiglia dopo aver fatto il viaggio ‘obbligatorio’ con lo zaino in spalla come era di moda al tempo, aveva conosciuto tuo fratello. Erano gli anni in cui c’erano in giro per il paese quelle compagnie di ragazzi, perlopiù fatte di giovani turisti principalmente del capoluogo lombardo, ma che erano frequentate anche dai giovani del luogo.
E avevano così cominciato a conoscersi. Chi gli aveva dato peso? Cose da ragazzi, come arrivavano se ne andavano. E poi finita l’estate ognuno a casa sua, giusto?

Berardi fissava sua madre. Non l’aveva mai sentita parlare così tanto in quasi cinquant’anni.
Ma lei ormai non si fermava più.
- Ma la cosa non era così. La cosa era seria, ma seria seria seria. Finita l’estate cominciarono a vedersi una volta a Milano, un’altra a Lecco, un’altra ancora a Sondrio. Lei cominciò a venire a Chiesa anche durante qualche weekend, dormendo un po’ di qui e un po’ di là. Noi queste cose le avevamo saputo un po’ dopo, anche perché in paese non sfugge nulla.
Tuo fratello quell’anno avrebbe dovuto dare la maturità, mentre la ragazza si sarebbe dovuta iscrivere all’università. Aveva uno o due anni più di lui, non ricordo bene.
Ma come ti dicevo, quegli anni erano inquieti, soprattutto per i giovani. Io non ho mai capito perché, ma va bene lo stesso. Sta di fatto che lei prima di iscriversi all’università decise, d’accordo con i suoi genitori - ma ti pare? - che si sarebbe presa un po’ di tempo per viaggiare e fare ‘esperienza’. Capito? Fare esperienza. Io non so…
La madre prese a scuotere la testa, anche violentemente, facendo capire che anche a distanza di anni, quella roba lì non l’aveva mai mandata giù.
- E quindi? incalzò il Berardi.
- E quindi prima fece un corso di inglese che la occupò fino a primavera inoltrata, con lunghi soggiorni a Londra dove, secondo me, si montò la testa e cercò di farla perdere anche a tuo fratello.
Poi, a primavera inoltrata, aveva deciso di cambiare tutto, che non avrebbe più studiato, che non avrebbe vissuto più in questo paese di bigotti democristiani - come diceva lei - ma che se ne sarebbe andata, per fare una nuova vita, dall’altra parte del mondo.
Berardi cominciò a sudare freddo. Non è possibile, pensò, ancora l’Australia, anche in casa mia…
- Così un giorno piombò qui a Chiesa e sparì per tutto il giorno, con tuo fratello. La sera, davanti a un minestrone e a un pezzo di formaggio, Romeo, sì proprio lui, tuo fratello, ci disse bel bello che dopo la maturità e il conseguimento del diploma, sarebbe partito per l’Australia per raggiungere la sua Paola, sbarcata prima dell’estate per preparare il terreno. Capito? Australia, senza preavviso, senza parlarne, senza dire nulla, ma nulla nulla nulla.

Berardi comprese che la cosa sarebbe stata ancora lunga, e non poco.
- Un attimo mamma. Devo fare un paio di telefonate per spostare qualche appuntamento, così poi possiamo stare in pace e mi puoi raccontare tutto fino alla fine, ok?
E così fece, uscendo all’aperto, anche perché lì dentro, con quei muri di pietra spessi metri, il cellulare prendeva poco e male.

79.

Russo e Locatelli, uno consapevole del ruolo di tutor nei confronti del giovane che aveva a fianco, l’altro carico di entusiasmo visto che si usciva in missione - segreta! - per conto del maresciallo, risalirono a piedi la strada alla caserma, attraversarono la via principale e cominciarono la lunga camminata per l’hotel Paradiso, luogo che ospitava il giovane turista.
Quale era la loro missione? Provare a comprendere se tra la cartolina dell’Opera e il ragazzo c’era un nesso, cercando di essere delicati, non invasivi, gentili, amichevoli e non elefanti in una cristalleria. Anche perché avrebbero avuto la necessità di affrontare la Silvana, che non faceva sconti a nessuno, neanche alle uniformi.
Era un giorno afoso, in cui si respirava a fatica, con nuvole minacciose in fondo alla valle e un grigio diffuso opprimente. Lungo la strada, visto che non erano in missione ufficiale e in borghese e volevano cercare un po’ di refrigerio, si permisero un gelato.
- Oreste, per favore due coni. Uno cioccolato e nocciola e per il mio collega cioccolato e crema, chiese Russo.
- Le parigine, così chiamava i coni mia nonna, e chissà per quale motivo. Si chiamano ancora così?, domandò il Locatelli al padrone della gelateria, che era sicuramente agé, ma non così tanto, e che rispose scrollando le spalle, come se volesse togliersi il peso degli anni dalle spalle e soprattutto scrollarsi dal locale quei due giovani sempre in vena di fare domande.
I due si convinsero che forse non era giornata per fare quattro chiacchiere in allegria con il gelataio, pagarono e girarono i tacchi.

Arrivati all’albergo Paradiso, si accorsero non era stata pianificata alcuna strategia ed erano in visibile imbarazzo perché non sapevano cosa fare e cosa dire. Due dilettanti. Ma Russo non poteva tentennare, lui che era il più esperto dei due e che era la ‘guida’ della truppa d’assalto. E poi non poteva fare una figura di merda assoluta con il suo sottoposto.
- Ho tutto qui in testa, Locatelli. Lascia fare a me.
Con passo marziale entrò nell’albergo, dove l’attività era ancora in una tranquilla sospensione.
Puntarono la reception, dove la Silvana stava succhiando il tappo della sua bic, nella spasmodica ricerca di un’ispirazione positiva che le avrebbe permesso di risolvere quel 24 verticale che da mezz’ora le rovinava la vita.
Quando li vide avvicinarsi, i suoi capelli, almeno virtualmente, si rizzarono sulla testa come se fossero aculei di un istrice.
- E questi cosa vogliono? In borghese fanno più paura che in uniforme. Forse si sono fidanzati e vogliono una stanza… si ritrovò a pensare malignamente la bella tenutaria. Li accolse con un sorriso tirato, che non mascherava la diffidenza e il sospetto di cui era capace.
Mentre fuori, forse in suo aiuto, i tuoni avevano cominciato a preannunciare la tempesta.

80.

Il Berardi dopo essersi liberato con un sacco di balle dagli impegni di lavoro di quel giorno, rientrò velocemente in casa della madre.
La storia ormai, oltre ad affascinarlo come un giallo del grande Hitch, cominciava a preoccuparlo, visto che non era un romanzo d’appendìce ma vedeva coinvolta la sua famiglia, in un recente passato, con chissà quali risvolti.
- E quindi? domandò con ansia crescente alla vecchia madre che lo aspettava nella stessa posizione in cui l’aveva lasciata qualche minuto prima. - Cosa è successo dopo?
Il viso della madre era ormai sfigurato. Gli anni, se possibile, le erano cascati addosso trasformandole il viso, le orbite erano scavate lasciando intorno agli occhi solo un alone violaceo, le guance erano ormai quasi evanescenti.
Fissò suo figlio negli occhi. Faceva pena.
- Mamma, che c’è? ribadì il Berardi, sempre più preoccupato.
- Tuo padre e io, ricominciò l’anziana donna senza avvertimento, - dopo quel giorno pensavamo che la cosa si sarebbe svanita, diomenticata, che tutti questi strambi progetti, al momento di essere realizzati, avrebbero mostrato tutta la loro inconsistenza. E invece, caro figlio mio, era solo l’inizio.

E continuò.
- Dopo qualche mese la Paola partì per l’Australia, con la benedizione dei suoi genitori. Io continuavo a dire a tuo fratello che quella ragazza era fuori di testa, figlia di gente con un sacco di soldi, con una mentalità diversa, che viveva nella grande città. Noi qui, lontani anni luce, in tutti i sensi.
Una volta che la ragazza arrivò a Sidney, cominciò a scrivere a Romeo. Prima una cartolina di saluto, poi una lettera con un sacco di stupidaggini sull’amore e sul fatto che erano fatti l’uno per l’altra, su come era bellissima Sidney e la vita in quel luogo sperduto nel mondo. Nella lettera, soprattutto, dava un appuntamento a una cartolina seguente, che avrebbe contenuto i riferimenti precisi per il biglietto dell’aereo, l’indirizzo della casa dove aveva cominciato a vivere la sua nuova vita, orari e ogni tipo di dettaglio necessario.
- Ma come facevate a sapere tutte queste cose? domandò ingenuamente il Berardi. - Ve le ha raccontate Romeo?
- Ma va là! Noi sapevamo tutto perché leggevamo tutto, all’insaputa di tuo fratello. Tuo padre e io avevamo delineato una strategia per minare alle fondamenta questa paradossale storia d’amore.
- Cioè?
- Abbiamo, d’accordo con il postino, intercettato tutte le comunicazioni che arrivavano da quella scellerata, in modo che tuo fratello non avesse più sue notizie. I genitori della ragazza erano pressoché scomparsi visto che a Chiesa non venivano più, e soprattutto avevano lasciato Milano per l’America, Detroit per la precisione, per questioni di lavoro del padre. Suo padre era un manager del mondo dell’automobile e Detroit, almeno al tempo, era la capitale dell’automobile forse del mondo intero. Tuo fratello, senza i riferimenti della ragazza, non aveva alcuna possibilità di rintracciarla. Questa deve essere l’unica cartolina che deve esserci sfuggita, probabilmente una delle prime della serie, concluse indicando il reperto ancora sdraiato dolcemente sul tavolo.

A quel punto il Berardi spiegò che la cartolina era stata ritrovata in pineta e la madre, di tutta risposta, disse che probabilmente suo padre l’aveva persa là per chissà quale motivo.
Berardi guardava stupefatto la determinazione della madre e allo stesso tempo ne era spaventato. Prima di andarsene di casa, aveva passato quasi trent'anni della sua vita con quella donna, dalla quale aveva ricevuto protezione, amore e assistenza, l’aveva mitizzata ed elevata alla rappresentazione umana della bontà sul mondo intero, e tutto sembrava crollare. La vedeva ora cinica, insensibile ed egoista, proprio nei confronti di uno dei suoi figli.
Era allibito.
- Ma siete impazziti? Avete impedito a Romeo di leggere tutta la posta che arrivava dalla sua donna? domandò Berardi con gli occhi fuori dalle orbite.
- Donna? Donna? Ma se erano a malapena due ragazzi. E tuo fratello era ancora minorenne, ricordatelo! rispose secca la madre, con tutta la durezza che riusciva a esprimere. - Sì, abbiamo intercettato tutto, impedito a quella ‘donna’, come dici tu, di comunicare per una sola volta ancora con tuo fratello. Eravamo sicuri che per lui fosse meglio così. Sicuri, sicuri, sicuri.
- E come andò a finire?
- Finì tutto lì, lei non riuscì a contattarlo mai più. Lui si disperò, per mesi, forse per anni. E si intristì. E noi, da buoni struzzi, facemmo finta di non vedere, di non sentire, fino a quando Romeo incontrò la Mariella e si sposò. Poi arrivò la figlia Cristina, poi tuo padre morì e tutto sparì come se non fosse mai successo. Fino a oggi.
E scoppiò di nuovo a piangere.

Il Berardi la guardò ancora una volta, soprattutto perché non riusciva a capire per quale diavolo di motivo suo fratello avesse dovuto subire tutto ciò.
Avessero avuto necessità particolari in famiglia, avessero avuto difficoltà economiche, ci fosse stata qualche malattia, avrebbe capito. Ma così gli sembrava pura cattiveria, dettata, quella forse sì!, solo dall’ignoranza e dalla chiusura mentale. Oggi le cose sarebbero state diverse, cercò di consolarsi.
- Ok mamma, ora basta piangere. E poi perché piangere? Mi sembra che dal tuo racconto, dalla determinazione con cui me l’hai spiattellato oggi, tu non abbia alcun rimpianto, o meglio ancora, alcun pentimento. Tu e papà avete raggiunto tutto quello che volevate. Qual è il problema?, disse il Berardi con sfrontata durezza.
- Questa cartolina mi ha fatto crollare il mondo addosso. In pochi secondi mi ha fatto comprendere quale cattiveria e quale egoismo abbiamo inflitto a tuo fratello che infatti, inutile negarlo, ha avuto una vita infelice e triste.
E continuò, nel pieno dello sconforto.
- Sì, caro figlio mio, vivo un senso di colpa infinito oggi, non so come potrà perdonarmi. E come potrò perdonarmi io stessa. Per fortuna mi resta poco tempo da vivere, concluse con un tono di provata drammaticità.
- Perché? Devi proprio dirglielo? chiese cinicamente il Berardi. - È obbligatorio?

81.

Elena aveva intensificato le sue visite a Milano.
La casa editrice, fuori ormai definitivamente dalla melma degli ultimi anni, stava ricominciando a mietere progetti, a porsi obiettivi ambiziosi, ad aprirsi nuovi spazi nel mercato. E soprattutto nuovi autori erano approdati e quindi, da editor di maggiore esperienza, veniva costantemente coinvolta per garantire un lavoro di qualità fin dalle prime opere dei nuovi autori.
Tutto ciò la rendeva sempre più raggiante, sempre più contenta di aver ripreso il suo percorso professionale e soprattutto, ogni giorno sempre più soddisfatta e realizzata. Convintissima della scelta fatta.
Così la pensava anche suo marito, il maresciallo maggiore Marco Pandolfi, che di fatto l’aveva spinta verso il ritorno al lavoro.
Ma c’era un ma, che si teneva per sé. Ogni volta che tornava a casa a pranzo, a volte anche a cena, e lei non c’era viveva un vuoto enorme dentro.
Da una parte era felice di passare un po’ di tempo solo con sua figlia, trasgredendo qualche regola; dall’altra queste continue assenze, a volte per qualche giorno, lo mettevano in agitazione, gli alteravano i sottili equilibri acquisiti, procurandogli ansia.

Era un senso di protezione? Era amore? Era solitudine? Gelosia? Forse era una miscela di tutto ciò, era un miscuglio di sensazioni e ansie che rendevano la vita del maresciallo, in quei momenti, triste.
Elena ne era consapevole e si teneva sempre in contatto con il marito, soprattutto in quelle trasferte che la portavano lontana da Chiesa per più giorni.
Giulia non sembrava aver subito contraccolpi, e si godeva, con l’assenza momentanea della madre, quel po’ di libertà in più che la faceva sentire adulta e autonoma.
La nuova organizzazione familiare, nonostante tutto, sembrava reggere.

82.

Il Berardi non attese la risposta della madre, la salutò con affetto, uscì e lentamente si incamminò per scendere verso il paese. aveva deciso di farsela a piedi, lasciando l'auto davanti alla casa materna. Aveva bisogno di chiarirsi le idee.
La valle si stava oscurando. Nuvole grigie, ormai quasi nere, si erano ammassate tra i monti, spinte da sudest, e si stavano preparando a una festa fatta di lampi, fulmini e acqua a profusione.
Affrettò il passo, buttò l’occhio allo Scalino che non trovò, ormai completamente nascosto e già alle prese con le prime precipitazioni che sarebbero arrivate presto in paese.
Alle prime gocce si fermò sotto i ripari del municipio. Non aveva nessuna voglia di prenderla, piuttosto avrebbe aspettato ore lì sotto. Il telefono l’aveva con sé, poteva così lavorare un po’ e recuperare il tempo passato con sua madre.
Sua madre, pensò. E suo padre... Come avevano potuto partorire una strategia così diabolica? Come avevano potuto passare sopra i sentimenti del fratello, così, senza neanche farsi una domanda? Come era possibile, in Italia non nel terzo mondo più arretrato, che fosse accaduta una cosa del genere?
Non riusciva a farsene una ragione. E più ci pensava e più si arrabbiava e più doveva dirlo a qualcuno, perché lo sfogo era parte della cura.
In quel momento gli venne in mente il maresciallo. Da sempre coinvolto nella storia, anzi, grazie a sua figlia, l’origine dell’intera vicenda. Doveva essere avvertito immediatamente, perché parte della matassa era stata sbrogliata e parte del mistero risolto.
- Maresciallo, come sta? domandò appena sentì la risposta alla sua chiamata. - È in ufficio? Ok, allora vengo a trovarla se non la disturbo. Le devo raccontare una cosa. E s’incamminò, sotto il diluvio, nonostante avesse poco prima deciso il contrario.

L’arrivo in caserma fu per lo meno trafelato e particolarmente bagnato. Cercò di sistemarsi nell’attesa di essere ricevuto dal maresciallo che in ‘quel momento era impegnato in una conversazione con il colonnello’, gli avevano riferito, ‘e che l’avrebbe ricevuto appena possibile’.
L’attesa fu gradita per rilassarsi un po’, per ripensare a quanto era accaduto con sua madre, per cercare di trovare delle connessioni con la cartolina da una parte e con il giovane ragazzo arrivato da qualche giorno dall’altra.
Non era possibile, pensò. Era sicuramente una coincidenza formidabile, pensare a un nesso tra le due cose sembrava incredibile.
Vediamo cosa dice il maresciallo, pensò tra sé e sé il Berardi, e cosa decide di fare.
Proprio in quel momento un carabiniere lo raggiunse e gli chiese di seguirlo verso l’ufficio del maresciallo.
- Berardi, qual buon vento, o dovrei dire quale buona acqua, visto come è conciato. Vuole una salvietta per asciugarsi? Si prenderà un accidente! Porta qualcosa al signor Berardi, ordinò al giovane carabiniere che scattò alla ricerca di non sapeva neanche lui cosa.
- Questo acquazzone mi ha colto di sorpresa, proprio mentre scendevo dalla casa di mia madre. Ormai sembra di essere in Asia, con i monsoni. Non si preoccupi, piano piano mi asc...ma non finì la parola perché gli cascò tra le mani una salvietta bianca e pulita che grato iniziò subito a usare in modo frenetico.
- Cosa mi vuole raccontare Berardi? Come sta sua madre?
- Proprio di lei le voglio parlare. Di lei, dell’Australia, della cartolina e forse del giovane ragazzo ospite della Silvana. Ma quest’ultima cosa me la deve dire lei.
E cominciò a raccontare, senza dimenticarsi particolari, pause a effetto e congetture personali. E giudizi, nei confronti dei suoi poveri genitori, cascati quarant'anni fa in una cosa più grande di loro e in cui la loro inadeguatezza si era mostrata in tutta la sua immensità.
Il maresciallo, a mano a mano che ascoltava, si agitava sempre di più sulla sedia, sgranava gli occhi, scuoteva la testa. Si alzò, a un certo punto, aprì la finestra per fare entrare un po’ di quell’aria fresca e pulita che si creava durante i temporali. Avesse fumato, si ritrovò a pensare, si sarebbe acceso una sigaretta.

Berardi continuò, non si fermò un attimo, cercò di far capire il dissidio interiore che la madre stava vivendo, la sua disperazione, che in fondo, ai suoi occhi, la assolveva da quanto aveva combinato, con suo padre, a suo fratello.
- La domanda che mi faccio io è: ma il ragazzo australiano, c’entra qualcosa?
Madonna santa! Improvvisamente si ricordò che aveva spedito i due giovani e inesperti carabinieri a indagare, a cercare di capire. Ma l’aveva fatto nella convinzione che il turista, con cui si era scontrato letteralmente in mezzo alla strada, non avesse nulla a che fare con la cartolina. Avesse pensato il contrario si sarebbe mosso in prima persona.
Ora la faccenda era in mano ai due promettenti soldati, che però non avevano la capacità relazionale né di maturità per affrontare una discussione del genere con un giovane viaggiatore arrivato dall’altra parte del mondo, forse, alla ricerca di qualche informazione sul passato.
Afferrò velocemente il cellulare e fece subito il numero di Russo.
Il telefono suonava a vuoto.
- E rispondi, borbottò impaziente il maresciallo nell’attesa, di fronte a un Berardi che interrogava il suo interlocutore con lo sguardo, senza proferire verbo.
- Cazzo, rispondi Russo!!, urlò a un certo punto, proprio nel momento in cui il carabiniere stava rispondendo.
- Maresciallo, che succede, gridò Russo spaventato.
- Russo, finalmente. Dove sei?
- All’hotel Paradiso, maresciallo, come ordinato da lei. Stavo proprio ora cominciando a parlare con la signora Silvana per capire chi…
Ma il maresciallo lo interruppe con un ordine perentorio.
- Fermo lì. Non fare nulla e non chiedere nulla. Tornate immediatamente in caserma. La vostra ‘missione’ è annullata. Non ti preoccupare Russo, poi ti spiego.
E attaccò.
Tirò un lungo e definitivo sospiro di sollievo.
- L’abbiamo scampata bella, disse soddisfatto al sempre più esterrefatto Berardi.

E fu così che il maresciallo raccontò anche lui la sua storia, quella dei due carabinieri, in borghese, che aveva spedito al Paradiso per cercare di capire se esistevano connessioni tra le due cose.
- Ok, rispose il Berardi, - ma allora perché li ha richiamati indietro? A questo punto c’è qualche elemento in più per ritenere che le due vicende siano legate, o no? Non è meglio verificare?
- Sì, concordo con lei. Le due vicende, ne sono abbastanza convinto, potrebbero essere legate, anche se ancora non so come e perché. E visto il racconto di sua madre, se le cose sono collegate, sarà meglio avere grande attenzione e delicatezza nell’affrontare l’australiano. Voglio gestire io quell’incontro, non farlo fare a due carabinieri, bravi e competenti, ma dall’esperienza ancora limitata. Non voglio fare errori. Ecco perché li ho bloccati, e per fortuna, appena in tempo.
Berardi comprese. Comprese anche quale esperienza poteva vantare il maresciallo, unita a una sensibilità relazionale non comune. Ne fu ammirato.
Quell’uomo gli piaceva sempre di più e continuava a pensare che sarebbe stato un ottimo amico.
- Andiamo? Con questo tempo mi auguro che non si sia allontanato dall’albergo, almeno non più di tanto. Se siamo fortunati stasera ceniamo con qualche certezza in più, disse il maresciallo impugnando il cappello d’ordinanza, pronto a uscire anche sotto il diluvio universale.
- Ma lei è proprio deciso a non dire nulla a suo fratello? Sicuro?

No, Berardi non era affatto sicuro di quella presunta decisione.
Da una parte non capiva perché avrebbe dovuto riaprire un’antica ferita, probabilmente definitivamente chiusa; dall’altra pensava anche che non dicendo nulla si sarebbe comportato nello stesso modo ipocrita dei suoi genitori. Se un giorno Romeo fosse venuto a conoscenza di tutta la storia, avrebbe messo sullo stesso piano lui e i suoi genitori. E forse avrebbe avuto anche ragione.
Non dirlo però avrebbe risparmiato a sua madre non solo l’umiliazione, ma soprattutto il dolore nel vedere il viso di suo fratello mentre ascoltava questa piccola storia ignobile.
È vero, erano altri tempi, lui era ancora minorenne, la ragazza forse troppo intraprendente, ma porca miseria come si fa, pensava, come si fa a distruggere deliberatamente la vita di uno dei propri figli così con leggerezza?

83.

I due carabinieri si scusarono con la Silvana - per altro felicissima della loro ritirata - e senza ombrello si gettarono sotto le secchiate d’acqua per fare ritorno in caserma. Cambiarono subito idea e si fermarono fuori dall’albergo, sotto il pergolato che proteggeva qualche tavolino, dalla pioggia oggi, e dal sole in altri momenti più sereni.
Decisero di aspettare lì, sicuri che il diluvio sarebbe durato un po’ meno di quello più famoso di un lontano passato.
E proprio in quel momento, la Panda 4x4 con la scritta Carabinieri sulla fiancata accostò all’entrata dell’albergo e fece scendere il comandante e il suo accompagnatore Berardi, che con un balzo si lanciarono dentro l’albergo, cercando di bagnarsi il meno possibile.
Russo e Locatelli, non visti dal maresciallo, si guardarono negli occhi con un enorme punto di domanda disegnato sulle facce. Ma che diavolo stava succedendo? La curiosità era tanta, ma erano militari, e obtorto collo, eseguirono gli ordini.
- Appena diminuisce un po’ partiamo, ok Locatelli? affermò con decisione Russo rivolgendosi al suo giovane collega. - Il maresciallo ha detto che spiegherà e quindi aspettiamo le spiegazioni. Si girò e si accese una sigaretta.
Voleva fumarsela lentamente, senza pensieri e doveri. In pace.

84.

La Silvana se li vide volare addosso.
- Bello. Appena andati via gli altri militari e ora ne arrivano altri due. Berardi, sei entrato nei Carabinieri? Potevi dirmelo…
Il maresciallo accennò a un sorriso, mentre il Berardi fissò negli occhi la sua beneamata, con un sottile e amorevole odio.
- Sì e tra un po’ divento ministro della difesa. Ma ti avverto prima questa volta.
Un po’ di ospiti erano al bar per una sosta a base di cioccolata calda e pasticcini, altri erano probabilmente in giro ad annegare o in stanza a riposare. L’albergo, nonostante la bassa stagione, sembrava girare a pieno ritmo, per la gioia della sua proprietaria e della valle tutta.
- Buonasera signora Silvana, come sta? Scusi l’invasione, ma diluvia talmente che anche solo un attimo di esitazione significa pericolo di annegamento, affermò il maresciallo allungando la mano in saluto.
- Berardi era da me, in ufficio, e visto che volevo parlare con lei ho deciso di portarmelo dietro. Ha avuto una giornata difficile.
Berardi stava per replicare alla benevola e ironica insolenza di Pandolfi, quando dalle scale scese - quell’uomo aveva un tempismo perfetto, non c’è che dire - il giovane Romeo jr, alle prese con un incrocio improbabile tra cartine della zona e mappe sul telefono. Pandolfi non si lasciò sfuggire l’occasione, lo avvicinò, lo salutò e mostrò a tutti come arrivare a un obiettivo senza far capire a nessuno che era quella l’intenzione.
- Mio caro amico, come va? Le piace l’Italia?
La domanda la prendeva un po’ alla larga, partiva da lontano, ma l’intenzione, almeno per Berardi, era chiara.
- Buonasera, lei è quello che ho investito appena arrivato? Mi scusi ancora, non sapevo cosa fare.
- Romeo, - intervenne Silvana, da buona pierre dei suoi ospiti - il maresciallo Pandolfi è il comandante della stazione dei Carabinieri qui a Chiesa. Maresciallo le presento Romeo Hammitt, di Sidney.
I due si strinsero le mani, Silvana presentò anche il Berardi (Romeo? ma guarda...pensò).
- Mister Hammitt, posso farle qualche domanda? Sono molto attratto dall’Australia. È uno di quei paesi ancora troppo lontani per non essere affascinanti. Ha qualche minuto per me? Ribadì il Pandolfi.
Romeo jr non era italiano. Un italiano avrebbe guardato di traverso il militare, si sarebbe chiesto alla velocità della luce qual fosse il secondo fine di quella domanda e avrebbe elaborato, sempre alla stessa velocità, una strategia paracula per rispondere senza dire nulla, a qualsiasi domanda.
Ma Romeo jr, appunto, non era italiano.

Guardò l’orologio, vide che era ancora presto per la cena e candidamente rispose che - sì, certo, sono disponibile. - Ci sediamo là? indicando uno dei tavolini della sala living.
Il Berardi fu ‘gentilmente’ invitato a stare alla larga da uno sguardo più che convincente del maresciallo.
- Silvana, ti devo parlare, buttò lì e trascinò via sottobraccio la bella castellana lasciando soli i due uomini.
- Se volete un aperitivo basta chiedere, urlò in lontananza la padrona dell’hotel.
Pandolfi domandò, Romeo jr rispose e raccontò. Tutta la storia, dall’arrivo dei primi galeotti inglesi, passando per il massacro degli aborigeni per arrivare ai giorni nostri.
Il maresciallo gestì quei momenti con grande delicatezza, mostrando attenzione a tutto quello che il giovane raccontava, soprattutto ai giorni nostri, facendo domande sullo stile di vita australiano, su come si viveva a Sidney, e quali fossero i progetti di vita del giovane turista. Insomma, in modo concentrico, stava arrivando al nocciolo della questione.
- E come mai un giovane come lei, in giro per il mondo e l’Europa, arriva a Chiesa in Valmalenco? Non è che qui siamo proprio tra le località montane più famose del mondo... Come è arrivato fino a noi?, buttò lì con nonchalance il nostro Poirot, senza neanche guardarlo in faccia, come se fosse una domanda senza alcun fine.
Romeo jr non era omertoso, ma non aveva molta voglia di raccontare di sua madre, della sua perdita, della gita alla Cristina. Si rendeva però conto che per togliersi di torno quell’uomo, l’unica cosa da fare era parlare chiaramente. Così finalmente avrebbe potuto riprendere i suoi progetti di gite in giro per la valle. Anzi avrebbe chiesto anche a lui qualche suggerimento.

85.

Berardi era contento, in fondo, che il maresciallo volesse parlare da solo con il giovinastro tutto capelli e muscoli.
Era contento perché in quel modo avrebbe potuto stare un po’ solo con la sua donna, visto che per un motivo o per l’altro da un po’ di tempo non si batteva chiodo.
E lei era come sempre affascinante e soprattutto sempre pronta al gioco di sguardi, parole pronunciate a metà e inviti più o meno palesi. E quell’abito che le disegnava i fianchi tutto bottoni sul davanti gli faceva sognare approcci e attività al limite dell’umana decenza.
La trascinò nell’ufficio, sul retro della reception, chiuse la porta e si avvicinò alla Silvana con quello sguardo da imbecille che accomuna più o meno tutti gli uomini nella danza dell’amore. Le idee, gli intenti e gli obiettivi erano più chiari di un’alba senza nuvole in alta montagna.
- No, ma che fai? È pieno di gente di là, vuoi che ci scoprano? chiese la donna, giocando nella sua testa con la parola scoprano senza la erre. Un lieve sorriso affiorò infatti alle sue labbra, neanche troppo dissimulato.
- Ma qui è casa tua, no? Non puoi fare quello che vuoi? ributtò il Berardi, avvicinandosi sempre più deciso.
- Beh, se vogliamo veramente divertirci, possiamo chiamare allora anche il giovane australiano, potrebbe essere interessante l’intreccio linguistico. La Silvana, quando voleva, era veramente diabolica, provocatrice e molto, ma molto seducente.
Lui si fermò all’istante. Non sapeva se imbestialirsi per l’ardire della donna, oppure capitalizzare l’eccitazione che cresceva sempre di più al seguito della provocazione. Oppure girarsi e andarsene, lasciandola di sasso.
Scartò immediatamente l’ultima ipotesi. E in quell’attimo di esitazione, fu lei a decidere.
Lentamente cominciò, partendo dal basso, a sbottonare il suo vestito, aiutandosi con un sorriso seducente che stese definitivamente l’uomo, che in pochi secondi le fu addosso.
Qualcuno da fuori sentì qualcosa, qualcun altro fece finta di non sentire, molti non si accorsero di nulla.
Almeno fino a quando la porta non si riaprì e la Silvana comparve scarmigliata e con i bottoni non proprio al loro posto, rivelando la battaglia che si era appena conclusa.
Lui uscì, al seguito, a occhi bassi, come se fosse stato scoperto a rubare la marmellata dalla credenza.

Continua a leggere, dal 29 maggio, da qui