Capitoli 86 - Epilogo

86.

Chi non si era proprio accorto di nulla, né prima né dopo, erano i due signori che stavano parlando al tavolino.
- Chiesa ha un posto molto importante nella storia della mia vita e della mia famiglia, cominciò Romeo jr.
- Chiesa? E perché mai?
- Mia madre era italiana, di Milano, ed era venuta a vivere in Australia alla fine delle scuole superiori. E poi non se ne andò via più. Conobbe mio padre, si sposò, nacqui io, e pochi mesi fa si è ammalata ed è morta. Tutto molto veloce, non lasciandoci il tempo di abituarci all’idea. Io mi sto adeguando, diciamo, sul campo, con grandi difficoltà e sofferenze. E venire a Chiesa fa parte di quel percorso.
Il maresciallo si pentì un po’ di essere lì. Stava giocando con una persona, - non con cattiveria, per carità - senza essersi posto il problema che dietro a ogni protagonista del teatro del mondo c’erano storie, gioie, dolori, difficoltà e chissà che altro.
- Mi dispiace, gli disse con trasporto. - Ma Chiesa cosa c’entra? Scusi se le faccio queste domande, ma a questo punto sono curioso, fa un po’ parte del mio mestiere esserlo. Ma se la disturba parlarne chiudiamo subito l’argomento e parliamo di rugby, anche se ne capisco ancora meno che di calcio, il che è tutto dire.
Il maresciallo era sincero. Se fosse stato un problema per il suo interlocutore avrebbe lasciato perdere tutto senza alcuna titubanza.
- No, non è un problema. E parlarne mi fa anche bene. Sono mesi che sono in giro per il mondo, e raccontare a qualcuno il mio passato, quello della mia famiglia e di mia madre in particolare, mi fa star bene, mi rende più leggero.
- Cosa c’entra Chiesa? domandò il giovane. - Beh, se si può dire, Chiesa è l’origine di tutto, è il motivo per cui mia madre si trasferì in Australia, con l’idea di farsi una vita nel nuovo mondo, con il suo amato compagno.
Ma si fermò, e puntualizzò.
- Maresciallo, tenga conto che io so tutto quello che so sul passato di mia madre solo perché ho ritrovato, in un cassetto chiuso a chiave, un suo vecchio diario in cui raccontava quello che stava succedendo in quel periodo. Da lì ho scoperto tutto.
- Scoperto tutto? domandò Pandolfi, sempre più nella parte del carabiniere in servizio.

E il giovane aussie cominciò a raccontare.
Pandolfi ascoltò con grande attenzione, e nella sua testa ogni rivolo che sembrava andare per i fatti suoi confluì finalmente in un unico fiume dalle acque limpide e chiare. Insomma, aveva capito tutto e ogni intreccio si stava sbrogliando.
Ora restava da decidere, sicuramente con il Berardi, cosa fare.
La famiglia a questo punto doveva interpretare il ruolo principale, decidendo in autonomia con chi parlare e soprattutto cosa dire.

Si girò verso la reception, non vide nessuno. Doveva parlare con il Berardi, perché quanto aveva saputo non solo chiudeva il cerchio della vicenda, ma soprattutto aggiungeva informazioni che erano fondamentali per lui, per suo fratello, per la madre e, perché no?, per tutto il paese. Anche se quest’ultimo aspetto lo preoccupava un po’.
Chiese a Romeo jr di attenderlo un attimo, si alzò e si mise in cerca.
Trovò Berardi, visto che il diluvio era terminato, seduto a un tavolino fuori, che chiacchierava amabilmente con i suoi due commilitoni, manco fossero sulla piazzetta di Capri, ad agosto, nei gloriosi anni ‘60.
- E voi siete ancora qui? Ma non dovevate tornare in caserma dopo che vi ho chiamato? domandò, assumendo fino alle stringhe delle scarpe il ruolo di capo supremo di tutti gli schieramenti militari del regno.
Scattarono in un unico gesto in piedi, Russo diventò rosso, Locatelli bianco e Berardi, grazie anche al totale relax che stava vivendo dopo quanto era successo dietro le quinte, dalla sua posa semi sdraiata sulla sedia assunse un’aria ironica, pronto a creare qualche casino all’interno dell’Arma.
- Maresciallo, io...appena iniziò a parlare venne zittito immediatamente con aria truce dal Pandolfi che voleva finirla velocemente e soprattutto non aveva voglia di ascoltare i facili sollazzi del suo amico.
- Berardi, lei non si immischi, per favore. Russo, Locatelli, subito in caserma e quando arrivo esigo un rapporto completo di quanto avete fatto, e soprattutto una spiegazione per cui vi ritrovo al cazzeggio assoluto qui senza combinare nulla di buono. Ok?
I due annuirono, scornati e umiliati, si raccattarono e si incamminarono verso la caserma.
Il Berardi li seguì con gli occhi sorridendo.
- Li ha distrutti, maresciallo. Mi stavano proprio dicendo che dovevano ritornare in caserma, visto che il monsone aveva terminato il suo lavoro.
- Ma sì, lo so, ma la disciplina impone alcuni standard, come non sedersi al tavolino di un albergo come due turisti annoiati. Anche se in borghese. Non si preoccupi, non succederà nulla, li striglierò un po’ stasera ma con infinita tenerezza. Comunque ero proprio in cerca di lei. Posso parlarle?
- Mi dica. Come è andata con l’illustre sconosciuto del continente australe?
- Mica tanto sconosciuto, caro Berardi. Anzi proprio per nulla.

E cominciò a raccontargli tutto.
- Quindi, alla fine disse il Berardi, - per me è una sorta di ‘nipote’?
- Ma insomma, per lei non è proprio nulla. Una cosa è certa, la madre di questo ragazzo era la fidanzata di suo fratello, quarant’anni fa, quando avevano entrambi architettato alla luce del sole (e quello fu il loro vero grosso errore) una vita in comune lontano da tutto e tutti. Da una parte i suoi genitori si sono messi di traverso lasciando intendere a suo fratello che lei lo avesse abbandonato, intercettando tutta la posta; dall’altra lei, visto che non aveva ricevuto alcun messaggio, pensando che suo fratello avesse fatto altrettanto, si era ritirata nella solitudine cercando di rifarsi una vita. Un disastro, vero e proprio.

Berardi si passò le dita tra i capelli, in segno di disperazione.
E rapidamente pensò che tutto ciò, in fondo, aveva creato due esistenze, una infelice e l’altra rassegnata.
La rabbia che l’aveva attraversato in casa di sua madre e che aveva accantonato per la pena che la povera donna gli aveva fatto raccontandogli tutto, riaffiorò come un torrente impetuoso. Cominciò a imprecare in particolare contro suo padre, sicuramente l’artefice - ne era certo - di questa bella strategia alle spalle del proprio figlio.
- Berardi, vuole raccontare tutto al giovane Romeo jr? Sua madre probabilmente l’aveva chiamato così pensando a suo fratello, disse il maresciallo con fare paterno, cercando di distrarre il Berardi dall’incazzatura crescente.
Era anche lui emotivamente coinvolto in questa storia, partita da una disubbidienza di sua figlia mesi prima e sfociata in una vera e propria tragedia familiare.
- Pensa che sia giusto farlo? E se lasciassimo tutto così? Non sarebbe meglio?
- Il ragazzo è sveglio e curioso. Ha assolto il suo compito al rifugio Cristina - dopo le spiego tutto - ma ora vuole cercare di incontrare quell’uomo che sua madre ha tanto amato e che tanto, contemporaneamente, l’ha fatta soffrire. Sa solo che si chiama Romeo, che è di Chiesa e che ha più o meno l’età che avrebbe oggi sua madre, una sessantina circa. Mi ha chiesto se lo posso aiutare nella ricerca.
- Ma perché lo cerca, gliela vuole far pagare? domandò allarmato il Berardi.
- Ma no, mica è un sicario della malavita australiana. Vorrebbe solo conoscerlo, chiudere, insomma, la vicenda con delle certezze. Vuole solo capire cosa è successo. Così potrà, mi ha detto con le lacrime agli occhi, fare in modo che la madre ‘riposi in pace’.
Berardi guardò negli occhi il Pandolfi. Sembrava cercasse nel viso del suo interlocutore la strada che avrebbe dovuto percorrere.
- Se vuole un amico al suo fianco, posso partecipare anch’io all’incontro, rincarò il Pandolfi. - Poi deciderete insieme cosa fare, se dirlo a suo fratello, se riparlarne a sua madre. Qualsiasi cosa. Ma mi creda, glielo dico da uomo, la cosa più giusta è raccontargli tutto.
- Ok, rispose laconico. - Allora facciamolo, disse alzandosi.
La serata, grazie al temporale, era diventata fresca e limpida.

Ma rientrando in albergo, il Berardi, sudava come avesse appena concluso la maratona alle Olimpiadi.

86.

Succedeva tutto quel giorno lì, come già aveva commentato il maresciallo. Come se un regista mica tanto occulto avesse deciso che in quella giornata tutto si sarebbe chiarito, tutto si sarebbe concluso, tutto si sarebbe definito.
La madre del Berardi, appena il figlio se ne era andato e appena ripresasi dalla crisi di pianto che per la terza volta l’aveva colta di sorpresa, si rimise in sesto.
Si sedette sul divano, non per farsi travolgere dai sensi di colpa, ma perché a quel punto sentiva l’esigenza, quasi fisica, di tirarsi fuori.
- Caro Piero, disse al marito defunto da tempo, - la porcata l’abbiamo fatta, Romeo ha vissuto una vita sicuramente non felice anche per nostra responsabilità, ma a questo punto, l’unica cosa da fare, è cercare di rimediare. Come non lo so, ma qualcosa devo fare.
La donna era sicuramente semplice e di origini modeste, ma aveva una tempra fortissima. Era una di quelle donne sulla quale il paese, dopo la guerra, si era ricostruito. Donna determinata, anche negli errori. Parlarne con il figlio Romeo o no?
Aveva bisogno di un parere ‘terzo’, di qualcuno con cui confrontarsi e che l’aiutasse a prendere una decisione. E poi ‘sarà quello che dio vorrà’, concluse tra sé. Ecco dio. Proprio lui ci vorrebbe.
Nell’impossibilità di contattare direttamente il grande capo, forse sarebbe andato bene un intermediario, uno che la sapeva lunga e che soprattutto era al di sopra delle parti.
Inforcò gli occhiali e compose il numero di Don Artemio.

87.

Avevano poco più di un’ora prima che si scatenasse la corsa alla cena. Più che sufficiente, valutò il maresciallo, rientrando anche lui in albergo e dirigendosi velocemente verso l’area dell’albergo dove aveva lasciato, pochi minuti prima, il figlio della signora Paola.
Non c’era più.
- Ma cazzo, gli avevo chiesto di aspettarmi...si lasciò sfuggire il Pandolfi, pensando per un attimo che ogni cosa da lui pronunciata fosse di fatto un ordine da rispettare senza se e senza ma. Ma immediatamente si rese conto che non aveva alcuna autorità verso il ragazzo e che non poteva certo impartirgli ordini come se fosse un suo sottoposto.
Cercò con gli occhi il Berardi, come se potesse avere qualche risposta da lui.
Romeo jr, povero ragazzo, aveva solo approfittato del momento di solitudine per tornare in camera per procurarsi la guida mastodontica dell’Italia del più famoso editore australiano di viaggi e per fare anche una salutare sosta in bagno. Ma stava già scendendo.
- Eccomi, disse a Pandolfi comparendogli all’improvviso e facendogli fare un salto mentre allungava in modo insistente il collo alla sua ricerca.
- Ah ok, grazie. Ci sediamo sui divani nella hall? Staremo più comodi. Il mio amico Berardi vorrebbe dirle qualcosa. Se lei è disponibile, naturalmente.
Romeo era sempre più perplesso ma non si oppose. Sperava che quel gruppo di autocoscienza maschile potesse essere utile a definire qualche gita nei prossimi giorni, visto che le previsioni davano bello stabile.
- Certo, fino alla cena sono libero. Dopo no!, sorrise, passandosi la mano sullo stomaco in uno dei più classici gesti italioti che definiscono il piacere della tavola. - La cuoca dell’albergo cucina benissimo.
- Va bene, accomodiamoci disse, indicando l’angolo creato ad arte da due divani in velluto color porpora.

Si sedettero.
Ci fu un attimo di silenzioso imbarazzo, quando il Berardi, spiazzando il maresciallo che voleva assumere il ruolo di ‘moderatore’ in quel dibattito, prese la parola, rivolgendosi direttamente a Romeo jr.
- Il maresciallo mi ha raccontato la sua storia e soprattutto quella di sua madre. E anche che lei vuole incontrare quel famoso uomo che un tempo era stato il suo fidanzato.
Tutto si aspettava il giovane, tranne che si tornasse a parlare di sua madre e di quella triste storia. E questo, come si chiamava, ah sì Berardi, cosa voleva? Che ne sapeva lui?
Annuì alle parole dell’uomo esterrefatto.
- Bene Romeo jr, io so chi è quell’uomo. È mio fratello.
Il ragazzo rimase a bocca aperta, sgranando gli occhi all’inverosimile, chiedendosi se non lo stavano prendendo per i fondelli.
- Come suo fratello... E come fa a esserne così sicuro?
Allora il Berardi chiuse il cerchio e allineò l’australiano, suo fratello, la Paola, sua madre, Chiesa e l’Australia.
Gli raccontò anche che aveva scoperto tutto la mattina, quando in un crescendo di eventi, aveva raccolto la confessione della madre.
Romeo jr non ci credeva. Il maresciallo puntualizzò alcuni aspetti, confermò alcune osservazioni e corresse alcune imprecisioni nel racconto del Berardi. Ma soprattutto assunse il ruolo di garante della verità dei fatti, tranquillizzando moltissimo il giovane turista.
- Wow, sussurrò sommessamente Romeo jr, trovandosi in mano la matassa completamente sbrogliata senza quasi avere alzato un dito.
Si fece un giro della sala per rilassarsi un po’.
- Mi scusi signor Berardi, ma quindi lei mi sta dicendo che suo fratello non sa nulla di questa storia e che per tutti questi anni, come peraltro mia madre in senso opposto, ha pensato che lei l’avesse abbandonato? domandò il giovane.
- Esatto, almeno a quanto mi ha riferito la mamma. Due vite osteggiate, per la responsabilità miope dei miei genitori.
Si fece un altro giro, per poi risedersi, di colpo.
- Io voglio conoscere suo fratello, disse con il massimo dell’assertività che disponeva. Come ha detto che si chiama?
- Romeo, annunciò laconico il Berardi.

Sul volto del ragazzo si disegnò un bellissimo sorriso, quasi a suggellare definitivamente la verità di quanto era stato raccontato fino a quel momento.
- Sì, lo voglio proprio conoscere e raccontargli di mia madre, fargli leggere il diario e tornare, se vorrà, al rifugio Cristina con lui. Se lui non vorrà pazienza, non posso obbligarlo. Poi potrò tornare alla mia vita. Concluderò il mio viaggio in Europa e mi rimetterò sulla strada di casa. La mia vita mi aspetta.
- Ok Romeo. Vedo cosa posso fare, le faccio sapere il prima possibile. Va bene? domandò il Berardi.
- Va bene. Aspetto un suo messaggio. Questo è il numero del mio cellulare. Mi chiami o mi scriva, quando vuole. Grazie.
Si strinsero le mani, entrambi al limite della commozione.
Il ragazzo tornò in camera, in attesa della cena; il Berardi salutò il maresciallo andando in cerca della sua amata; Pandolfi, rimasto solo, raggiunse la sua Panda e ripartì, a quel punto, verso casa.
Voleva riabbracciare al più presto la sua famiglia e cercare di scacciare dal cuore quel peso che da qualche ora lo opprimeva.

88.

La telefonata tra la vecchia signora Berardi e Don Artemio ebbe l’indubbio risultato di tranquillizzare l’anziana.
Concordarono di vedersi dopo un'ora.
La donna bussò la porta dell’abitazione di Don Artemio e, appena accomodata, come un fiume in piena, raccontò tutto al parroco, facendo attenzione a non fermarsi per neanche un attimo. Aveva paura che non avrebbe più avuto la forza di riprendere a parlare.
Don Artemio ascoltò tutto, fino in fondo, trattenendosi dall’interrompere la vecchia donna. Una volta concluso il viaggio nel passato, in un crescendo di irritazione e rabbia, strigliò per bene la donna.
Inanellò minacce, alzò il dito indice come fosse una spada di fuoco, minacciò la donna garantendole un posto nel più profondo e doloroso girone dell’inferno appena dio l’avesse richiamata a sé.
Insomma, una vera e propria reprimenda celestiale che ebbe naturalmente uno e un solo effetto: la donna scoppiò in lacrime, anche se di lacrime ormai, vista la giornata di precipitazioni continue dentro e fuori, ne aveva poche da versare.
Ma così Don Artemio si fermò. Si rese conto di aver esagerato, di aver superato ogni limite. Tirò un lungo sospiro per fare arrivare un po’ più di ossigeno al cervello, intossicato dalla rabbia.
Avrebbe voluto prenderla per mano, consolarla, e ricominciare il colloquio su basi differenti, cercando insieme una soluzione che permettesse di portare un po’ di tranquillità nella famiglia e rendere più sereno il povero Romeo, ancora all’oscuro di tutto.
Una volta calmata la donna, Don Artemio riprese la conversazione.
- Io suggerisco di parlare con Romeo, raccontandogli tutto, senza remore. Ora capisco perché con quell’uomo non sono mai riuscito ad avere un qualsiasi rapporto. È un uomo spento, da sempre, con un’unica gioia: sua figlia. Forse spiegargli cosa è successo, da una parte lo farà probabilmente arrabbiare con lei, dall’altra però chiuderà una storia che immagino sia ancora nei suoi pensieri e che non lo faccia dormire in pace. Che dice?
Lei pensò rapidamente che il prete si sarebbe potuto risparmiare la scenata di prima, lo guardò negli occhi e annuì.
- Se ha bisogno di un amico durante l’incontro, io sono a sua disposizione, concluse Don Artemio.
Sembrava che in quel giorno tutto succedesse, tutto precipitasse - non solo acqua a secchiate… - e tutti si offrissero come amici in confessioni intime e dolorose.

89.

Tutti parlavano di lui. Tutti lo additavano come una persona triste. Tutti raccontavano del suo passato. Tutti sapevano di lui.
Lui, Romeo Berardi, classe 1957, nato a Chiesa in Valmalenco in provincia di Sondrio, Italia, viveva da tempo in un paese vicino nella valle. Proprio nel paese che ospitava il ristorante dove il maresciallo aveva invitato il Berardi quando ancora si sapeva poco o nulla della vicenda che stiamo raccontando.
Aveva lavorato per una vita alla locale centrale elettrica, fino a ottenere riconoscimenti professionali e di carriera, oltre che economici. Oggi cominciava a parlare di pensione, di ritiro e di riposo meritato.
La sua vita, dopo quanto accaduto, era stata comunque una corsa al ribasso, una rinuncia continua alle sue ambizioni, ai suoi sogni.
Voleva andare a vivere in Australia con la sua donna? Niente da fare.
Voleva iscriversi ad architettura a Milano? Figuriamoci, bisogna mettersi a lavorare.
Voleva stare un po’ da solo per fare progetti? Non se ne parla, sposati, come fanno tutti.
L’unica cosa che aveva voluto fortemente e che ancora oggi era un raggio di sole tra le nubi era la figlia, Cristina, ormai alle prese con la tesi di laurea.
- Tu fai l’università, ok? Non voglio sentire ragioni!, le aveva detto andando contro la mentalità ristretta della moglie e facendola felice. Si sarebbe laureata entro l’anno in ingegneria, per poi, il prima possibile, prendere il volo per specializzazioni, master o ricerche in qualche università prestigiosa in giro per il mondo. Aveva già qualche offerta. Tipa tosta la ragazza, senza dubbio.

Sulla moglie non serve neanche sprecare tempo e inchiostro. Un personaggio insulso, mentalmente ristretto e visceralmente stupido. Sembrava quasi che Romeo avesse scelto la peggiore donna dell’arco alpino per punire le proprie debolezze giovanili.
Non era affascinante come suo fratello che colpiva a prima vista. E aveva anche quasi dieci anni di più. Non era determinato come lui, e le due vite messe a confronto lo testimoniavano senza alcun dubbio.
Oddio, anche il Berardi con l’incidente della moglie in quello stato, non scherzava per nulla, ma la differenza sostanziale era proprio in quella capacità di decidere per sé e non farsi influenzare, o peggio ordinare, da chicchessia.
Le sue scelte le aveva fatte, vincendo o perdendo a seconda dei casi. Romeo no.
Ma era comunque una persona buona, che aveva lavorato una vita, senza perdere la bussola, e crescendo una figlia sana e intelligente e con le idee chiare.

Qualche giorno dopo il temporale furibondo - che aveva fatto danni in giro per la valle - Romeo vide comparire sul display del cellulare il numero di suo fratello. Era tarda mattinata, l’ora del pranzo incombeva.
I due andavano d’accordo, non avevano mai avuto grandi contrasti, si erano sempre rispettati. Non si frequentavano molto, ora un po’ di più grazie ai lavori al Valtellina e alla storia che Berardi aveva con la Silvana.
- Pronto fratello, come stai? rispose Romeo, sfoderando un buon umore insolito nella voce.
- Molto bene grazie. Ho bisogno di raccontarti una vera e propria storia. Hai impegni a pranzo? Di solito tu vai a casa a mangiare, nella pausa pranzo, giusto?. Tua moglie dà fuori di testa se le alteri i programmi all’ultimo minuto?
Si fece una sana risata all’idea che sua moglie potesse dare di matto, cosa molto probabile. E provò una sadica e piacevole soddisfazione.
- Nessun problema, rispose quindi con entusiasmo.
- Al solito posto tra un’ora?
- Perfetto. A dopo. Il primo che arriva prende il tavolo. Non credo che serva prenotare.
Il primo ad arrivare all’Antico Ristorante fu Romeo.
Se suo fratello voleva parlargli, ‘raccontare una storia’ aveva detto, e con così scarso preavviso, la cosa doveva essere importante.
Chiese un tavolo un po’ defilato, che consentisse riservatezza e silenzio.

Appena si sedette si rilassò. Lì dentro, grazie ai muri spessi e antichi, anche i telefoni facevano fatica a funzionare e quindi non aveva modo di distrarsi.
Non gli piaceva rimanere troppo solo con se stesso, lo costringeva a pensare, e pensare era una brutta malattia che aveva come sintomo principale quello di fare bilanci. E non quelli economici, ma quelli di vita.
Cercò di concentrarsi prima di tutto sul menù, lo lesse tutto da capo a piedi - anche se lo conosceva a memoria; cercò di scambiare quattro parole con il cameriere che conosceva da anni, ma lui aveva ben altro a cui pensare e quindi lo lasciò di nuovo solo quasi subito; fece un pensiero su dove passare qualche giorno di vacanza in estate, visto che probabilmente sarebbe stata l’ultima vacanza con sua figlia ancora in famiglia, ma non gli venne in mente niente di originale, aldilà dei soliti posti scontati.
Finalmente vide in fondo, vicino all’entrata, la mole di suo fratello. Alzò una mano per farsi vedere, lui incrociò il suo sguardo e sorridendo lo raggiunse.
- Ciao fratello, scusa il ritardo.
- Non ti preoccupare. Proposta: prima ordiniamo e poi mi racconti tutto quello che vuoi. Non ti nascondo che sono curioso di ascoltarti. Ok? E poi ho fame...

Ordinarono.
Il Berardi pizzoccheri e filetto al pepe verde. Insalata di contorno. Poi se ci stava un dolce e sicuramente caffè e amaro.
Romeo optò per tagliolini ai funghi e ziguner, ‘la carne intorno al bastone’. Insalata di contorno. Dolce sicuro, caffè anche, pensò mentre ordinava.
Una bottiglia di Inferno concluse il panorama.
Insomma, un pranzo impegnativo.
Il cameriere si allontanò con la comanda e Romeo si rivolse subito al fratello con infinita curiosità.
- Allora, che è successo?
- Successo? Non è successo niente, non ti allarmare.
- Fratello mio, ti voglio ricordare che sono il fratello maggiore, l’erede della corona. E soprattutto che ti conosco come nessuno mai al mondo. Neanche la mamma ti conosce così. E tu, forse non lo sai, sei un libro aperto. Mi dici cosa è successo, per favore?
- Paola Luppi.
Bisogna dire che il Berardi non eccelleva in delicatezza visto il modo diretto con cui aveva cominciato a parlare. Ma si era convinto che non ci sarebbe stato alcun modo per addolcire quella pillola amarissima che doveva fargli ingoiare.
Romeo si bloccò all’istante. Era un nome che gli rimbalzava nella testa più volte, ancora oggi, dopo tutti quegli anni, ma era un nome che non sentiva pronunciare da allora, da quando tutto era successo.
- Come fai a conoscere quel nome? Che ne sai tu?, gli rispose irrigidendo ogni muscolo della faccia, arrivando quasi a cambiare le sembianze del viso. La mano destra si era chiusa in una morsa intorno al tovagliolo cercando di scaricare l’improvvisa tensione.
- Innanzitutto calma, suggerì delicatamente. Quello che devo dirti è molto complicato, difficile da digerire, ma credo che sia corretto che tu venga a sapere tutto, senza alcuna omissione, anche se doloroso.
- Tu sai tutto? domandò Romeo.
- Non solo so tutto, ma so anche quello che non sai tu. Perché, scusami, tu, in fondo, non sai proprio un bel nulla.
Il Berardi pensò che forse, essere venuti al ristorante per fare queste confidenze a suo fratello, non era stata la scelta più azzeccata, ma poi si convinse che almeno in un luogo pubblico si sarebbe dovuto controllare, e gestire, e che il buon cibo del loro amico chef avrebbe ammorbidito il tutto.
Il fratello maggiore lo fissò. Cercava di capire di cosa stessero parlando, andò alla ricerca di qualche appiglio nella memoria, ma poi lasciò perdere.
- Allora non mi fare penare, comincia.
E il Berardi cominciò, si interruppe solamente quando arrivarono i primi, riprese in attesa dei secondi e concluse prima di ordinare i caffè. Ai dolci avrebbero entrambi rinunciato.
Durante il racconto, il più puntuale possibile, cercò di non dimenticarsi nulla, di essere attento alle parole utilizzate, ai toni, anche ai gesti. Ma non distoglieva mai gli occhi dal fratello, per cercare di capire le sue reazioni, per catturare ogni suo pensiero.

Lui non fece un solo gesto, non pronunciò alcuna parola, quasi non si mosse.
Solo alla fine del pranzo si accorse che il fratello non aveva quasi toccato cibo, aveva solo assaggiato quello che il cameriere gli aveva appoggiato con eleganza sul tavolo. Il cibo, pressoché intonso si era accumulato sulla tavola.
Aveva solo sorseggiato il vino.
Berardi aveva mangiato per prendere fiato tra una frase e l’altra, ma soprattutto per attaccarsi a qualcosa, qualunque cosa.
- È tutto, concluse. - L’ultima cosa che voglio dirti è che io non sapevo dell’esistenza di questa donna e di tutta la storia intorno a lei fino a tre giorni fa quando, come ti ho detto, la mamma in lacrime me l’ha raccontata dopo che aveva letto quella cartolina. Romeo, mi dispiace molto per quello che è accaduto. Moltissimo. Credimi. Ero troppo piccolo per sapere, ma soprattutto per intervenire in qualsiasi modo.

L’uomo rimase in silenzio per un tempo che sembrava infinito. Il Berardi, nel frattempo, fece portare via i piatti vuoti e anche quelli pieni, ordinò due caffè, e fissò suo fratello.
- Porca miseria, Romeo, dimmi qualcosa!
- Voglio vedere quella cartolina. Ma prima voglio incontrare questo ragazzo. Dove hai detto che alloggia?
E poi fu tutto velocissimo.
Berardi sorrise.
Pagarono il conto. - Paga tu. Io non ho proprio mangiato!
Salirono in auto.
Romeo chiamò in azienda per dire che un improvviso impegno familiare gli impediva di tornare al lavoro.
Attraversarono il ponte sul Mallero.
Arrivarono in pochi secondi all’albergo Paradiso.
Entrarono.
Chiesero di mister Hammitt.
Lui scese in pochi secondi.
Quando Romeo jr vide quell’uomo di fianco al Berardi capì subito.
L’uomo si avvicinò al ragazzo. Lo fissò per un attimo. Era come rivedere Paola.
- Buongiorno, io sono Romeo, e tese la mano.
- Anch’io! rispose sorridendo Romeo jr.
E i due si abbracciarono, come si conoscessero da sempre.

Il Berardi li lasciò soli. Avevano cose da dirsi, racconti da scambiarsi, dovevano ricongiungere ricordi che si erano persi, da troppo tempo.
Era commosso. Prima di tutto della reazione del fratello, poi per quell’incontro, lontano quarant'anni, che forse poteva rasserenare non solo i vivi ma anche i morti.
Il più era fatto.
C’era però ancora una cosa che non lo faceva stare tranquillo: bisognava che il fratello parlasse con la madre.

90.

Già, la madre.
Aveva per giorni pianificato e progettato l’incontro con suo figlio, per spiegargli tutto.
Ogni volta si fermava, un po’ per indecisione, un po’ per mancanza di chiarezza con se stessa, un po’ per paura.

Quel giorno però era decisa.
Si era alzata dal letto dopo una buona notte di sonno, il cielo era blu intenso, l’aria fine e dolce. Aveva capito che quello sarebbe stato il giorno. E si era preparata.
Aveva fatto la spesa nel negozio lì vicino alla fontana dopo i quotidiani mestieri di casa, aveva preparato e avviato una lavatrice, allestito il pranzo.
Si concesse un pisolino ristoratore e a metà pomeriggio prese il telefono e compose il numero di cellulare di Romeo.
- Ciao mamma, rispose, scusandosi a gesti contemporaneamente con Romeo jr con cui stava parlando in modo serrato. - Sono con una persona, è urgente?
- Sì, ho aspettato già troppo. È urgentissimo. Dove sei? Al lavoro? Quando posso vederti? E bada che deve essere entro stasera…
- Ok, anch’io ho bisogno di parlarti. Tra dieci minuti mio fratello viene a prenderti, fatti trovare pronta davanti alla fontana. A dopo.
- Scusa, cosa c’entra tuo… ma ormai l’uomo aveva interrotto la comunicazione.
È la prima volta che mio figlio mi dà un ordine, pensò la donna.
Abbassò il telefono, per rialzarlo immediatamente e per chiamare Don Artemio e per avvertirlo che lo ringraziava moltissimo, ma non era necessario che l’accompagnasse nell’incontro con suo figlio. Entrambi i suoi figli si sarebbero presi cura di lei, disse con soddisfazione.

Aprì la scarpiera e scelse il modello più elegante che possedeva. L’abito era il migliore. Si permise anche quegli orecchini di sua nonna, decisamente vintage, che teneva per le occasioni speciali.
Voleva essere all’altezza dei suoi figli, quel giorno.

91.

Al BarCentro tutto filava liscio, tra malelingue, affetti insperati e qualche effetto speciale, soprattutto dettato da un tasso alcolico talvolta fuori controllo.
Il Monatti, quel giorno, era entrato con gli occhi fuori dalle orbite, puntando deciso al ‘suo’ tavolo dove gli altri perdigiorno erano già riuniti in un’accanita sfida a carte.
- Ma secondo voi, che cosa ci fanno il maresciallo, poi il Berardi e poi ancora il Romeo Berardi, e ora la madre dei Berardi, tutti all’Hotel Paradiso? domandò con quell’aria di chi sta rivelando qualcosa che gli altri non sanno.
- Una riunione di famiglia? domandò il Mascherpa più velenoso che mai.
- Non faccia lo spiritoso, liquidò il Mambelli. - Se vogliono riunirsi possono vedersi a casa loro, ne hanno tre, di cui una a Morbegno. Ma quando è successo?
- Sono tutti lì, chi prima chi dopo, da questo pomeriggio.
- Forse cenano tutti insieme, anche con la Silvana. Come se fosse un ricevimento di matrimonio, puntualizzò il Mascherpa, ancora più caustico.
Il Riva, accaparrandosi il settebello con nonchalance e strizzando l’occhio al Rosatti, suo compagno di scopa, si guardò intorno e gelò tutti.
- Perché non lo chiediamo al maresciallo?
Proprio in quel momento Pandolfi stava spingendo la porta per infilarsi nella tana del lupo, anche se ignaro delle trappole che avrebbe dovuto schivare.
- Maresciallo buonasera, un caffè o un aperitivo? O desidera qualcos’altro…, domandò alzandosi il Rosatti più per dovere che per rispetto all’Arma.
Il maresciallo guardò velocemente lo zoo che aveva davanti.
Il Monatti lo scrutava come se fosse una faina.
Il Mambelli lo guardava con aria di sfida come un cervo prima di un duello per la supremazia del branco.
Il Mascherpa lo fissava come un gufo nella notte.
E il Rosatti pareva un lupo in attesa di sbranare la prossima preda.

Capì al volo la situazione, come se fosse stato tra loro, invisibile, nell’ultima mezz’ora.
E allora andò in bestia. Prima divenne tutto rosso, qualcuno avrebbe persino dichiarato, dopo, che sembrava producesse fumo nero dalle orecchie, anche se molti non confermarono. Ma anni di esperienza, anni di obbligatorio auto-controllo, anni di situazioni al limite da affrontare con determinazione e freddezza, non erano passati invano.
Lui lo sapeva, molto bene, che si poteva dire qualsiasi cosa, affondare qualsiasi lama ‘verbale’ senza perdere il controllo e soprattutto la faccia.
Sorrise, con tutto il suo sarcasmo, a trentadue denti, accompagnando il tutto con un’occhiata generalizzata che inchiodò tutti alle loro sedie.
- Signori miei, come state? Come va la partita? E l’aperitivo? Non è già quasi ora di cena ormai? Cosa diranno le vostre povere mogli in attesa con i piatti in tavola? E si fermò fissandoli manco fossero Al Capone e tutta la banda sotto interrogatorio.
Nessuno aveva fegato di rispondere, non volava neanche una mosca. Anche il barista li osservava immobile da lontano.
Il maresciallo non mollava il colpo, e soprattutto lo sguardo, che andava, come una cavalletta, dal viso di uno a quello dell’altro e così via.
Tutti capirono l’antifona, a un certo punto.
Il Rosatti andò al bancone facendo finta di impartire qualche ordine, il Mambelli borbottò che ormai era tardi, il Mascherpa cominciò a tossire e bofonchiò uno ‘scusate’ e si diresse verso il bagno, mentre il Monatti, in silenzio, uscì velocemente manco avesse rapinato la cassa.
Il maresciallo acquistò dei fiammiferi da cucina come da programma, salutò tutti e se ne andò.

Soddisfatto, molto soddisfatto.

92.

Il Berardi, comandato dal fratello, si infilò in auto e si lanciò veloce per raggiungere la madre al Sasso.
Alla fontana, il tempo di aprire la portiera e la donna, elegantissima, si palesò dalla stradina tra i fienili. Sorrideva.
- Ciao, urlò quasi, mentre si sedeva nel posto di fianco al guidatore, - che cosa sta succedendo? Io volevo parlare con Romeo, ma sembra che mi abbia anticipato.
- Mamma, sali, chiudi la portiera e non ti preoccupare. Ti porto io da Romeo, all’hotel Paradiso. Non fare domande. Sappi solo una cosa: sa già tutto.
Lei, mentre parlava il figlio, si voltò lentamente per guardarlo. Annuì e si sentì sollevata.
In un battibaleno furono al Paradiso.
Il Berardi, galante, girò intorno all’auto, aprì la portiera alla madre, la aiutò a uscire e la accompagnò all’interno.
L’incrocio con la Silvana, venutale incontro, non fu né cordiale né astioso. Le due donne ancora non sapevano come prendersi e soprattutto nessuna delle due aveva voglia di fare il primo passo.
Il corteo si avviò verso la living room, dove la coppia di Romeo attendeva con ansia l’arrivo dell’anziana donna. Ci fu un attimo di perplessità nella madre.
Si voltò verso il figlio domandando con lo sguardo chi era quel giovane e perché erano in quel posto e non comodamente a casa di uno di loro per parlarsi e chiarirsi. Lui la guardò con grande amore, annuì in segno di conforto, e la invitò a sedersi.

Romeo si avvicinò e le diede un bacio sulla guancia in segno di saluto.
Romeo jr si alzò e andò a presentarsi.
- Mamma, il signore è Romeo jr Hammitt, viene dall’Australia. Romeo, mia madre.
Si strinsero le mani. Lei continuava a non capire, mentre Romeo, a metà tra l’emozionato e l’incuriosito accennò un sorriso, subito spento di fronte al viso terreo e duro della donna. Tutti si guardarono in faccia per domandarsi reciprocamente chi dovesse iniziare.

Romeo prese in mano la situazione. E fece la cosa più giusta che si doveva fare.
- Romeo jr, per favore, ci puoi lasciare soli per qualche minuto con nostra madre? Appena finito ti chiamiamo. Questione proprio di pochi minuti, che dici?
Il ragazzo comprese al volo e acconsentì anche con un certo sollievo. Lui e la Silvana si allontanarono chiacchierando fitto fitto, dirigendosi all’esterno dell’edificio per prendere aria.
E Romeo riprese ancora la parola.
- Allora mamma, mi hanno raccontato tutto.
- Tutto, tutto, tutto? domandò la signora con grande apprensione.
- Sì mamma, proprio tutto.
E si raccontarono, si domandarono, si spiegarono. Ma soprattutto si scusò.
Romeo jr si era seduto all’aperto. Aveva bisogno d’aria, di spazio. Ormai questa storia, se da una parte si stava velocemente chiarendo, dall’altra lo stava decisamente soffocando. Incominciava a non poterne più.
Ma non poteva mollare, di questo ne era certo.

Il desiderio di sua madre, più o meno palese, di capire cosa diavolo fosse successo ai tempi della sua relazione con Romeo, e la volontà - un po’ presuntuosa - del figlio di ridare un po’ di serenità a chi ormai non c’era più, erano più forti della voglia di prendere armi e bagagli e tornarsene a casa, facendo prima la preventivata sosta in Toscana per vedere Firenze, Siena e i suoi colli.
Guardò il Pizzo, anzi lo fissò. Oggi aveva un’aria meno austera, più amichevole.
Ripensò alla sua gita al rifugio ai suoi piedi, alla lettura del diario. Ripensò anche alla polenta e brasato nel caldo accogliente del rifugio.
Dedicò a sua madre, volata via ancora giovane e in poco tempo, un amorevole pensiero ricco di nostalgia.

Proprio in quel momento, il Berardi mise fuori la testa e lo richiamò all’ordine.
- Se viene dentro, le faccio conoscere mia madre, e facciamo quattro chiacchiere tutti insieme.
Rientrò. Si sedette tra Romeo e la Silvana, che nel frattempo si era aggiunta alla leggiadra combriccola.
Sua madre parlò, aggiunse dettagli ai racconti fino a lì condivisi, distribuì scuse un po’ a tutti, pianse, ancora una volta. Ma ormai si sentiva bene, libera da quel peso che forse negli anni aveva dimenticato, ma che in quegli ultimi giorni le aveva schiacciato la vita.
E aldilà della nostalgia e dei sensi di colpa, si era resa conto di avere due figli che in fondo, anche se in modo diverso, le volevano bene e che non l’avrebbero mai dimenticata. In vita e dopo la morte.
Romeo jr si dimostrò gentile e affabile, il Berardi faceva da battitore libero tenendo insieme le persone, Romeo stava cercando di perdonare, ma soprattutto sembrava che fosse ritornato a vivere.
La Silvana osservava di sottecchi tutto quello che diceva e osservava quella che in fondo si stava rivelando la sua nuova famiglia. A un certo punto si unì anche suo figlio Massimo, di ritorno da non si sa dove che così poté essere presentato a tutta la comunità che ruotava da tempo intorno a sua madre.
La serata si concluse con una cena al Paradiso, tutti insieme, a base di prelibatezze malenche, di buon vino e di spensierate conversazioni.
E con un accordo siglato sul granito: il prossimo sabato sarebbero andati tutti insieme - esclusa la madre, non più in grado di sostenere una camminata troppo lunga per lei - in gita al rifugio Cristina, con colazione al sacco, per una sorta di pellegrinaggio laico e per salutare definitivamente il giovane australiano che nel giro di pochi giorni sarebbe ripartito.

Perché tutto sembrava finito, ma non lo era mica tanto...

93.

Anche il clima sembrava felice che tutto fosse finito nel migliore dei modi.
Quel sabato il cielo era azzurro, e sulla valle spirava un vento dolce che scompigliava un po’ i capelli ma che era un vero toccasana per chi doveva risalire le pendici del Pizzo Scalino per raggiungere il rifugio.
Erano tre auto. Da una parte il Berardi con la Silvana e suo figlio Massimo.
Dall’altra Romeo, con Romeo jr e Don Artemio, che nonostante l’età si era accodato con l’intento di fare la periodica visita alla chiesetta che dominava la valle e che lui amava particolarmente.
La terza auto era tutto un programma. Alla guida il Pandolfi, con a fianco la moglie Elena e dietro Giulia e il suo accompagnatore, Mattia.
Una vera scampagnata di gruppo che univa sotto un sol cielo tutti i protagonisti principali della vicenda. La presenza del maresciallo, un po’ fuori quota dal punto di vista familiare, si era resa necessaria vista l’insistenza di Romeo nel conoscere Giulia. La voleva ringraziare, per aver ritrovato la cartolina e aver, anche se involontariamente, dato il via a tutto questa strana storia che in fondo, per lui, era un vero e proprio viaggio di purificazione.
Si ritrovarono tutti nel piazzale davanti alla chiesa.
Il catering era a cura della cucina dell’hotel Paradiso, con grande soddisfazione di tutti. Era stato pensato per essere distribuito nei diversi zaini che gli uomini si erano issati sulle spalle. C’era anche una bottiglia di grappa nascosta in qualche tasca. La giornata si presentava radiosa.
Si avvicinarono il più possibile con le auto, anche perché Don Artemio aveva una resistenza limitata.
Arrivarono al rifugio che era quasi ora di pranzo. Salirono alla distesa erbosa che era alla base del Pizzo, saltarono fuori teli per accomodarsi sull’erba e la Silvana allestì il picnic con maestria e classe. Don Artemio apprezzò, molto, anche perché era molto stanco. Alla chiesetta ci sarebbe andato dopo, e non ne era neanche certo.
Saltarono fuori panini alla bresaola e caprino, altri al prosciutto crudo, altri al formaggio locale, altri ancora con un salame dalla grana grossa e dal sapore deciso.
E poi insalate miste, torte salate agli asparagi e alle patate, piccole polpette di carne, riso in insalata...insomma c’era da mangiare per tutta la valle e anche qualcuna limitrofa.

Romeo rideva e gesticolava come un bambino, il Berardi invece si stava occupando del vino, Romeo jr distribuiva posate e tovagliolini per rendere più facile e confortevole quel baccanale, mentre Elena, elegante e un po’ distaccata, raccontava del suo lavoro a Milano alla Silvana. Il maresciallo, con Giulia, si era allontanato per controllare le catene montuose intorno con il binocolo.
C’era un clima di formidabile serenità, di armonia, che ognuno viveva con grande trasporto e partecipazione. Una giornata speciale in cui tutto era perfetto.
- Ehi voi due, urlò Romeo ridendo a suo fratello e a Romeo Jr, cercate di non mangiarvi tutto. Lasciate qualcosa anche a noi. Tra l’altro, se tutto va bene, potrebbe arrivare anche mia figlia, quindi datevi una calmata!
I due, aiutando a preparare tutto quel ben di dio, allungavano spesso e volentieri le mani in continui assaggi, mugolando di piacere.
- Tua figlia? Tu hai una figlia? domandò Romeo jr, l’unico del gruppo a non saperlo.
Quando si erano incontrati la prima volta Romeo non aveva raccontato più di tanto della sua famiglia e quindi della figlia non aveva fatto menzione.
- Sì, ho una figlia, si chiama Cristina, ha venticinque anni e si sta laureando in ingegneria al Politecnico di Milano. Determinata come poche, presto comincerà a viaggiare per il mondo alla ricerca della sua strada nella vita. L’hanno già cercata parecchie università, in Inghilterra e negli Usa. Prima o poi la perderò e sarò l’uomo più solo della terra. Ma nello stesso tempo il più felice.

Romeo jr non diede retta più di tanto alla breve presentazione che il padre fece della sua giovane erede, era ancora emotivamente in subbuglio, in quel luogo.
Si sedettero tutti come meglio potevano. Le mascelle cominciarono a muoversi intorno ai cibi, alcune molto velocemente. Il vino scorreva, l’allegria diventava contagiosa, e tutti sembravano godere del palato e degli occhi.
- Eccola! urlò Giulia, la prima ad avere avvistato Cristina comparire sul prato.
E anche così da lontano faceva già una bella impressione. Alta, capelli biondi come il grano, raccolti in una lunga coda di cavallo, elegante nel muoversi. Il resto l’avremmo scoperto tutti solo quando si sarebbe avvicinata alla compagnia accampata sull’erba.
Il padre si voltò, alzò un braccio in segno di saluto, ma non ci pensò proprio ad alzarsi e andarle incontro.
Ci pensarono Giulia e Mattia, che le corsero incontro urlando a squarciagola.
In pochi minuti si unì al gruppo.
- Ciao figlia, disse subito Romeo. Conosci tutti vero?
- Sì certo, buongiorno a tutti.
Non si era ancora accorta di Romeo jr che, seduto di spalle, era alle prese con una bottiglia possessiva che non voleva lasciare libero il suo tappo.
Vinta la battaglia, si girò per versare il vino nei bicchieri quando rimase incantato di fronte agli occhi azzurri della giovane Berardi.
- Ma lui non lo conosco! Ciao io sono Cristina, la figlia di Romeo, e allungò la mano per presentarsi.
Lui scattò in piedi, a metà tra l’imbarazzato e l’affascinato, rispondendo alla stretta di mano. - Ciao, anch’io mi chiamo Romeo, Romeo jr.
I due, come nelle classiche commedie sentimentali di stampo hollywoodiane, si persero l’uno negli occhi dell’altra, senza più aggiungere nulla.
Tutti gli altri, seduti, guardavano la scena, ammirati da tanta giovane bellezza in un colpo solo.
Questa sospensione dalla realtà sembrò durare un tempo interminabile, ma fu solo una questione di pochi secondi, anche perché il padre della ragazza, ingelosito, cominciò a schiarirsi la voce violentemente, con il risultato di far interrompere quell’incantesimo.
- Cristina, vuoi qualcosa da mangiare? le domandò il padre diretto e asciutto.
E tutto ricominciò, come se nulla fosse successo. Chiacchiere, vino, risate, lunghi silenzi, giochi e battute.

Ma i due giovani non provavano neanche a non cercarsi con gli occhi, scambiandosi sorrisi e qualche parola. Nessuno tirò fuori la ben nota vicenda, ma tutti ci pensarono. Tutti tranne Cristina, che era ancora ignara di tutto.
Romeo jr a un certo punto fu tentato di sfilare dalla tasca il diario della madre, senza sapere bene per farne cosa, ma alla fine decise di lasciarlo riposare nel suo zaino. Il diario ora ospitava, con il ruolo di esclusivo segnalibro, la cartolina, che dopo averla vista, Romeo aveva regalato al ragazzo in segno di amicizia e stima, e ricordo. Romeo jr aveva accettato il regalo con grande emozione e riconoscimento.
Il turista australiano decise di riposare un po’, andando a buttarsi sdraiato sulla pietra piatta e riscaldata dal sole che l’aveva accolto l’altra volta.
- Allora tu sei australiano? sentì improvvisamente chiedersi mentre aveva gli occhi chiusi e ascoltava solo il suono del vento.
- Sì, di Sidney. Mia madre era di Milano e mio padre australiano. Sto facendo un giro per l’Europa e l’Italia da qualche mese. Mi sono laureato in lingue straniere l’anno scorso. Ho sentito da tuo padre che ti stai laureando in ingegneria, complimenti!
E poi le chiacchiere divennero serrate, il livello d’intimità crebbe in maniera esponenziale, qualcuno giurò che a un certo punto uno avesse accarezzato le mani dell’altra lì, di fronte a tutti. Insomma, amore a prima vista, colpo di fulmine, attrazione pura, terremoto dei sensi.
Le nuvole cominciarono ad addensarsi, il vento, gelido, cominciò a farsi spazio, saltarono fuori giacche a vento e maglioni, il sole scomparve.
Qualcuno disse - Scendiamo?, e tutti si ritrovarono d’accordo in un istante.
Arrivarono alle macchine che stava già cominciando a piovere. Per tutto il tragitto di discesa i due giovani erano rimasti in disparte, indietro, continuando a parlarsi e a conoscersi, consci entrambi del poco tempo che il destino riservava loro.
Cristina salì in auto con suo padre e con Romeo jr, e quindi con Don Artemio.
Su quel sedile dietro, schiacciati, si cercarono con le mani, con gli occhi e avessero potuto, anche con le labbra.
Si ritrovarono tutti nel piazzale della chiesa, per un ultimo saluto.
Il maresciallo portò Mattia a casa sua per poi ritirarsi con tutta la famiglia.
Don Artemio si infilò immediatamente in canonica, completamente sfinito, sognando l’aiuto della perpetua per mettersi a riposo con un buon libro tra le mani.
Il Berardi e la Silvana si guardarono negli occhi e si capirono al volo: via velocemente verso l’albergo con un unico e chiaro intento.
Cristina e Romeo jr si avviarono senza dire nulla, persi l’uno nell’altra, come se fossero mossi da una forza superiore. Dopo pochi passi lui la prese per mano, con un gesto di straordinaria intimità.
Il padre li guardò allontanarsi, sorridendo, ricordando con nostalgia la sua gioventù e il suo amore ormai perduto per sempre. Provò un po’ di dolce e amorevole invidia.
- Proprio come noi, pensò rivolgendosi idealmente alla sua Paola.
Sorrise.
- Ehi, ma non è che adesso se la porta in Australia, vero? bisbigliò con un po’ di apprensione.
Per la prima volta, dopo decenni, si sentì finalmente sereno e felice.

Epilogo

Dopo tutto questo casino, fatto di piscine, cartoline, rancori, ricordi e amori passati, presenti e futuri, qualche informazione su quello che siamo venuti a sapere, dopo.

- La piscina, con tutto il centro termale, è stata completata e le panze dei condomini un po’ ne hanno beneficiato. C’è ancora qualcuno che nelle successive assemblee condominiali ha cercato di contestare il lavoro, ma alla fine tutti ne sono rimasti soddisfatti.

- Il Berardi e la Silvana hanno continuato il loro idillio, senza più contrasti e malelingue nel paese.

- Il maresciallo, almeno per un po', ha continuato la sua vita, alle prese con grandi e piccole questioni, crescendo la figlia Giulia e vivendo di riflesso la carriera sempre più stellare della moglie, ormai numero due della casa editrice dove aveva ripreso a lavorare.

- Don Artemio, tra artrite e anni che passano, continua la sua opera di carità e di evangelizzazione, senza dimenticare carota e bastone

- La madre del Berardi vive serena la sua pensione, senza più macigni sul cuore

- Romeo, dopo che Cristina ha accettato un PhD in California, si è separato dalla sua impresentabile moglie e ha cominciato una nuova vita

- Romeo jr ha cominciato a lavorare a Sidney, insegna letteratura italiana all’università e fa avanti e indietro dalla California per incontrare Cristina.

- Al BarCentro i disgraziati dalla lingua lunga non hanno smesso un attimo di commentare e malignare su tutto quello che è successo

- Chiesa rimane un paradiso terrestre, protetta giorno e notte dal suo Pizzo.


Fine